Una pagina di storia troppo spesso dimenticata quella del colonialismo italiano in Africa. Ieri, 5 maggio, l’Etiopia ha celebrato l’84esimo anniversario della liberazione dell’Etiopia dall’occupazione fascista. Il Paese non dimentica le atrocità del colonialismo italiano: furono oltre un milione i civili etiopi morti per mano degli occupanti tra bombardamenti, gas, carestie e sfollamenti forzati.
Si è celebrato ieri ad Addis Abeba l’84esimo anniversario della liberazione dell’Etiopia dall’occupazione italiana. Alle commemorazioni erano presenti la presidente Taye Atske Selassie e il generale dell’esercito Endalkechew Woldekidan. “Questo è un giorno per ricordare la grande vittoria di tutti coloro che hanno pagato il prezzo della libertà dell’Etiopia. È la prova che il colonialismo sul suolo africano può essere sconfitto”, ha dichiarato Atske Selassie nel suo discorso ufficiale. “Non impariamo né accettiamo pace o libertà imposte da forze esterne — ha aggiunto —. Gli etiopi hanno dimostrato che al centro di tutto c’è il nostro forte desiderio di libertà”.
Il generale Woldekidan ha ricordato come la lotta per la libertà affondi le sue radici in un profondo patriottismo e abbia tuttora bisogno del sostegno del governo: “È una storia di eroismo, in cui i nostri coraggiosi soldati hanno combattuto e sconfitto l’esercito fascista italiano invasore, dimostrando che gli etiopi non si piegano a niente e a nessuno”.
Ogni 5 maggio, in Etiopia si celebra la vittoriosa entrata ad Addis Abeba dell’imperatore Haile Selassie nel 1941, che segnò la fine dell’occupazione italiana. La memoria di quella guerra è ancora vivida nel Paese e non a torto viene definita “atroce” dai media e dai discorsi ufficiali. La campagna fascista del 1936 fu non solo espressione del progetto imperialista di Mussolini, ma anche un tentativo di vendetta per la sconfitta subita ad Adua nel 1896, quando il generale Baratieri fu battuto dalle truppe del Negus Menelik.
Il colonialismo italiano non riuscì mai a controllare l’intera Etiopia. E proprio per questo, secondo molti storici, si accanì con particolare ferocia. Le truppe italiane impiegarono gas mostarda sin dal 1936, anche in bombardamenti aerei, violando convenzioni internazionali come il Protocollo di Ginevra. Furono colpiti ospedali, ambulanze, chiese, abitazioni civili e infrastrutture.

Il quotidiano The Habesha ha ricordato alcune delle atrocità più gravi: il massacro di oltre 30.000 civili ad Addis Abeba nel febbraio 1937, noto come i massacri di Yekatit; l’uccisione di circa 3.000 tra monaci e diaconi ortodossi nel monastero di Debre Libanos; l’esecuzione sommaria di tutti gli uomini adulti del villaggio di Gogetti, su ordine diretto di Mussolini. E ancora: la soppressione della resistenza con fucilazioni di massa, campi di prigionia in condizioni disumane in Etiopia, Somalia, sulle isole del Mar Rosso e perfino in Italia. Furono distrutte più di 2.000 chiese ortodosse e oltre mezzo milione di abitazioni.
Nonostante l’evidenza, queste atrocità faticano ancora oggi a trovare spazio nella memoria collettiva italiana, spesso autoassolta da un presunto “colonialismo mite”. Eppure, secondo alcune stime, furono oltre un milione i civili etiopi morti per mano degli occupanti tra bombardamenti, gas, carestie e sfollamenti forzati. Particolarmente colpita fu la Chiesa ortodossa: le sue scuole furono chiuse, i suoi fedeli perseguitati.
Il dominio fascista si esercitò anche attraverso la strategia del divide et impera: le autorità italiane incitarono alcune comunità a combattere gli Amhara, promettendo terre e privilegi. Le zone ancestrali di Shewa, Gojam, Gondar e Wollo furono bersaglio di continui raid e bombardamenti.
La Società delle Nazioni condannò formalmente l’invasione italiana e impose sanzioni, a cui Mussolini rispose con il celebre “me ne frego”. Le sanzioni furono presto revocate, e nessuno dei principali responsabili italiani dei crimini di guerra fu mai processato. Il più noto, il generale Rodolfo Graziani — soprannominato “il macellaio di Addis Abeba” — morì nel suo letto nel 1955, senza mai essere giudicato.
Il 4 marzo 1948, l’Etiopia presentò all’Onu un dossier in cui accusava l’Italia di terrorismo sistematico e citava le parole dello stesso Graziani, che aveva ammesso l’intenzione di sterminare tutte le autorità Amhara. Eppure, anche questa denuncia cadde nel vuoto, grazie alla diplomazia di Roma e Londra.