Tanzania: prima udienza per il caso Lissu, clima teso a repressione

di claudia
Tundu Lissu Tanzania

Tundu Lissu, il più importante leader dell’opposizione tanzaniana, presidente del partito Chadema che è stato escluso dalle prossime elezioni presidenziali, è comparso ieri in tribunale per rispondere delle accuse di tradimento dopo aver chiesto riforme elettorali in vista delle elezioni generali di ottobre.

L’accusa di tradimento comporta la pena di morte in Tanzania. Nonostante questo rischio e nonostante il clima molto teso, Tundu Lissu si è mostrato sorridente e euforico, con addosso una maglietta con la scritta “niente riforme, niente elezioni”, che poi è lo slogan che lo ha portato all’arresto, il 9 aprile dopo un comizio pubblico. Lissu, in aula, era attorniato da guardie in uniforme militare e con il volto coperto: nelle settimane scorse Lissu ha intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro il tentativo della Corte di imporre un processo telematico, chiedendo di potere invece essere presente fisicamente alle udienze che lo riguardano.

Il politico, presidente del partito di opposizione Chadema, è sopravvissuto a un tentativo di assassinio nel 2017 e, da allora, ha trascorso parte del suo tempo in esilio a causa delle minacce di morte. È rientrato nel Paese dopo che l’attuale presidente, Samia Suluhu Hassan, ha inizialmente aperto al pluralismo politico, richiamando lei stessa in patria oppositori e critici e annunciando un nuovo corso politico, interrottosi però alla prima prova elettorale.

Durante la sua udienza in tribunale, Lissu ha incoraggiato i suoi sostenitori a non avere paura e ha fatto gesti di vittoria rivolgendosi a telecamere e fotografi. Al termine dell’udienza, gli inquirenti hanno chiesto altre due settimane per completare le indagini. Il processo riprenderà il 2 giugno.

I sostenitori di Lissu che volevano assistere al processo hanno subito una dura repressione: la politica dell’opposizione keniana, Martha Karua (ex ministra della Giustizia), arrivata in Tanzania prima dell’udienza, è stata espulsa e, con lei, anche l’ex presidente della Corte suprema del Kenya, Willy Mutunga, e tre attivisti keniani, che sono stati tutti bloccati e arrestati: ieri il segretario del ministero degli Esteri del Kenya, Korir Sing’oei, ha chiesto il rilascio di Mutunga e della sua delegazione mentre veniva fuori la notizia dell’arresto di altri due attivisti, Boniface Mwangi (Kenya) e Agather Atuhaire (Uganda), entrambi a Dar Es Salaam per assistere al processo Lissu e attualmente detenuti nella stazione centrale di polizia della capitale marittima tanzaniana.

La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan, parlando ieri pubblicamente, ha detto che non permetterà agli attivisti stranieri di destabilizzare il suo Paese e che tutti questi attivisti arrestati o cacciati erano in Tanzania per “ingerenze esterne”. Resta il fatto che l’amministrazione Hassan è accusata accusata, dall’opposizione interna e dagli attivisti per i diritti umani, di usare tattiche pesanti contro l’opposizione, come le sparizioni forzate e gli omicidi mirati, accuse che il governo nega.

Hassan si candiderà per un altro mandato alle elezioni di ottobre, che eleggeranno anche i membri del Parlamento. Il partito Chadema ha criticato l’assenza di una Commissione elettorale indipendente e le leggi che, a suo dire, favoriscono il partito al governo ed è stata esclusa dalla competizione elettorale dalla stessa Commissione. 

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