di Stefano Pancera
La chiusura della Millennium Challenge Corporation e il ridimensionamento di USAID segnano il tramonto di due pilastri del soft power statunitense in Africa. Dietro la svolta isolazionista dell’amministrazione Trump, si apre uno scenario nuovo: tra tagli, ripensamenti e riforme, alcuni paesi africani colgono l’occasione per ridefinire la propria traiettoria, puntando su politiche di sviluppo interno, regolamentazione dei capitali e affermazione della sovranità economica.
Nel giro di pochi mesi, gli Stati Uniti hanno smantellato due pilastri della loro architettura di aiuto allo sviluppo: USAID e MCC. La fine della Millennium Challenge Corporation, formalizzata il 24 aprile 2025, è forse l’atto più simbolico di questo nuovo corso isolazionista dell’amministrazione Trump. La decisione di chiudere l’agenzia, poco conosciuta dal grande pubblico, è stata annunciata internamente con una comunicazione secca: “Gli aiuti esteri non sono una priorità per l’amministrazione e quindi il lavoro di MCC deve finire”, ha dichiarato Kyeh Kim, vice presidente esecutivo della MCC, secondo quanto riportato da Reuters. Arrivederci e grazie.
Per capire lo stile è interessante ricordare una mail riservata che dava al personale americano dell’agenzia (circa 300 persone) fino alla fine di aprile per decidere se chiedere il pensionamento anticipato volontario o le dimissioni differite. Tutti i programmi dell’agenzia governativa, nata con il sostegno di repubblicani e democratici nel 2004 (budget annuale di circa 900 milioni di dollari) sono o saranno a breve chiusi. Ad eccezione di alcuni progetti infrastrutturali rimasti attivi, tra cui le reti elettriche in Senegal e scuole in Costa d’Avorio. Tutto il resto è stato sospeso o bloccato, compresi nuovi progetti in preparazione con Liberia, Togo e Zambia.
Creata 20 anni fa dal presidente George W. Bush con l’obiettivo di combattere la povertà e promuovere la crescita economica attraverso aiuti vincolati a criteri di buona governance, lotta contro la corruzione, tracciabilità della spesa pubblica; la MCC è stata lo strumento potente e invidiabile del soft power americano nel continente africano.
Aiuti in cambio di riforme e adesione ai valori occidentali. Diversi paesi africani sono stati tra i “buoni studenti” del MCC. In primo luogo, il Marocco, che ha ricevuto le maggiori sovvenzioni, oppure il Benin o la Costa d’Avorio che erano tra i paesi preferiti dell’istituzione. Ma anche il Senegal – ad esempio – godeva di due finanziamenti per 540 milioni di dollari tra il 2010 e il 2015, mentre altri 550 milioni di dollari erano previsti fino alla fine del 2026.
Dunque il continente dovrà presto imparare a vivere senza il “sostegno” della Millennium Challenge Corporation. Mentre sempre più paesi oggi sembrano cogliere l’occasione per promuovere politiche che favoriscano lo sviluppo interno, riducendo al contempo la dipendenza, da Londra arriva una novità significativa sul fronte del debito africano.

Il Regno Unito riveste un ruolo cruciale in questo ambito: circa il 90% dei contratti di debito sovrano stipulati dai paesi più poveri con creditori privati è regolato dalla legge britannica e gestito tramite la City di Londra. Questo significa che le controversie legate a questi debiti vengono spesso giudicate da tribunali inglesi, con esiti generalmente sfavorevoli ai debitori. La novità è la presentazione di una proposta di legge che mira a regolamentare le attività dei creditori privati nei confronti dei paesi a basso reddito, con l’obiettivo di limitarne l’eccessivo potere nei processi di ristrutturazione del debito.
Proposta che intende tutelare i paesi debitori nei casi in cui non riescano più a onorare i pagamenti e debbano rinegoziare le condizioni del debito.
Sempre in fatto di “nuovi segnali” il governo nigeriano ha stabilito che le future licenze minerarie saranno concesse solo alle aziende che prevedono la lavorazione dei minerali all’interno del paese. Dopo lo shock dei tagli a USAID, la Nigeria ha anche riallocato 200 milioni di dollari per sostenere i servizi sanitari. Infine – già che c’era – la Federal Competition and Consumer Protection di Abuja, ha pensato di sanzionare con una multa di 220 milioni di dollari Meta – la società madre di Facebook e WhatsApp – per aver violato la normativa nigeriana sulla protezione dei dati personali.

Ciò dimostra come la dipendenza dagli aiuti possa portare i governi ad abdicare alle loro responsabilità e come il ritiro degli aiuti stessi possa stimolare invece un maggior senso di responsabilità. Con tempismo, forse non casuale, la presidente della Namibia, Netumbo Nandi-Ndaitwah dal 1° aprile 2025, ha introdotto l’obbligo di visto d’ingresso per i cittadini di 31 paesi, tra cui Stati Uniti.
Inoltre, a partire dal prossimo anno, l’istruzione superiore sarà completamente gratuita nelle università pubbliche e nei centri di formazione tecnica statali: una riforma storica, che rappresenta un ulteriore passo verso il rafforzamento dell’identità nazionale.

Dopo decenni di relazioni improntate sullo scambio “aiuti in cambio di riforme”, molti paesi africani sembrano voler seguire un’altra strada: quella dell’autonomia strategica, della regolazione dei capitali esteri, della valorizzazione delle risorse locali. Non sarà facile. Ma l’uscita di scena di alcuni strumenti di soft power occidentale, come la MCC, potrebbe accelerare una nuova percezione dell’Africa.