di Annamaria Gallone
E’ in corso il 78º Festival cinematografico di Cannes. La nostra inviata, Annamaria Gallone, ci racconta tutto sui film africani in concorso. Oggi è la volta di Promis le ciel, il nuovo film della regista franco-tunisina Erige Sehiri che ha inaugurato la sezione Un Certain Regard.
Prima di scrivere la recensione dei film africani, premetto che questa edizione è stata davvero deludente per i veri cinefili. Impossibile ottenere i biglietti per accedere in sala. I giornalisti erano tenuti a fare la prenotazione dei film con tre giorni di anticipo, collegandosi on line alle 7 di mattina, ma quando lo si faceva, era già tutto preso, per colpa di un meccanismo misterioso che davvero si stenta a capire.
Pare che molti biglietti fossero concessi agli sponsor, che ne facevano dono a parenti ed amici che nulla avevano a che fare con il cinema. Così, per l’ambizione di salire sul tappeto rosso, sfilavano matrone ingioiellate con sfarzosi abiti incredibili e uomini tronfi del loro papillon, pronti per le foto di cui fare poi sfoggio sui vari social.
Ma passiamo ai film. A inaugurare la sezione Un Certain Regard del 78º Festival di Cannes è stato Promis le ciel, il nuovo film della regista franco-tunisina Erige Sehiri, già nota per Sous les figues, presentato nel 2022 nella stessa sezione.
Ritroviamo in questa sua opera, decisamente più drammatica, la stessa sensibilità e umanità profonda. Un film corale e intimo, che il pubblico, visibilmente commosso, alla fine della proiezione ha festeggiato la regista con una interminabile standig ovation.
La storia, profondamente femminista, segue la quotidianità di tre donne dell’Africa subsahariana, che vivono in un modesto appartamento a Tunisi. Sono diverse tra loro, ma convivono in grande armonia. La pastora Marie ex giornalista ivoriana (una magnifica Aïssa Maïga) ha fondato lì la sua Chiesa della Perseveranza, un culto cattolico clandestino dedito ad opere di beneficenza. La seconda, Naney Déborah la sostiene, anche se coinvolta segretamente in traffici loschi con il tunisino Foue, perché vuole ad ogni costo portare in Europa la figlia adolescente rimasta in Costa d’Avorio che non vede, se non on line da tre anni. La terza, Jolie, è una studentessa di ingegneria con i documenti in regola, a differenza delle sue due amiche. Ma poco vale la sua situazione legale, perché viene ugualmente catturata e umiliata.
Con loro vive Kenza, una bimba priva di identità sopravvissuta sola ad uno dei tanti naufragi, che viene amorosamente accolta dalle tre donne. In particolare, Marie le fa da madre e cerca di opporsi in ogni modo all’obbligo di consegnarla ad un centro in cui vengono raccolti i bambini naufragi senza genitori.
Stilisticamente parlando, il film ha un suggestivo ritmo fluido e una sceneggiatura ricca, senza debolezze. La storia non si abbandona mai a un facile sentimentalismo, ma tocca invece argomenti scottanti parlando della situazione politica in Tunisia e induce lo spettatore a riflettere sull’importanza del concetto di famiglia al di là degli stereotipi e della solidarietà.