È stata una delle tragedie più gravi che si è consumata nel Canale di Sicilia. Tre anni fa, il 3 ottobre del 2013, una imbarcazione libica utilizzata per il trasporto di migranti è naufragata a poche miglia del porto dell’isola di Lampedusa. Le vittime di quel naufragio furono 386 (366 morti accertati e 20 dispersi), numeri che fanno di questa tragedia una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dal dopoguerra.
Furono portate in salvo da quel barcone 155 persone, di cui 41 minori. L’imbarcazione era un peschereccio lungo circa 20 metri ed era salpata dal porto libico di Misurata il 1/o ottobre 2013, con a bordo migranti di origine africana provenienti soprattutto dall’Eritrea. Quando il barcone carico di profughi giunse a circa mezzo miglio dalle coste lampedusane, poco lontano dall’Isola dei Conigli, l’assistente del capitano gettò a terra una torcia infuocata che provocò un devastante incendio. Le fiamme erano state accese – fu spiegato in seguito – per fare notare la presenza della “carretta” del mare alle autorità italiane e per far scattare dunque i soccorsi. Nei difficili istanti in cui i profughi cercarono di mettersi in salvo l’imbarcazione si capovolse e poi colò a picco.
I primi ad accorgersi della tragedia furono all’alba dei pescatori locali che videro la gente in mare in mezzo a pozze di gasolio. Furono proprio quei pescherecci a caricare i primi superstiti mentre comunque era stato dato l’allarme alla Guardia Costiera.
E’ dello scorso mese di aprile la decisione della Corte di assise di appello di Palermo che ha confermato 30 anni di reclusione al somalo Mouhamud Elmi Muhidin, uno degli scafisti del barcone naufragato quel 3 ottobre 2013.
Dopo quella tragedia si era istituito il «Comitato 3 ottobre” per non dimenticare le vittime del mare e con una legge, approvata definitivamente il 16 marzo scorso.
(03/10/2016 Fonte: La Sicilia)
Enrico Casale
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