Quattordici candidati e un grande favorito: secondo le previsioni domenica 10 aprile il capo di stato del Ciad Idriss Déby Itno (Idi) otterrà senza problemi un quinto mandato quinquennale dopo 26 anni al potere in uno dei paesi più poveri del mondo.
Nella capitale, bruciata dal sole in questa stagione secca, campeggiano soltanto gli enormi manifesti che raffigurano il presidente in quadricromia, completo e occhiali dalla montatura leggerissima mentre dichiara “Votate Idi per l’affermazione del Ciad”, oppure con un cappello bianco da cow-boy (“Idi, il candidato dei giovani”). Nessuna traccia degli altri candidati.
Nei quartieri, i centri dei sostenitori del partito del presidente (Movimento patriottico di salvezza, Mps), tutti dipinti di giallo e blu, sono sorvegliati dalla polizia. Il palazzo presidenziale è protetto da numerosi soldati.
Questa onnipresenza, tipica di un potere egemonico, si ripete anche sulla tv nazionale, che diffonde uno dopo l’altro i suoi reportage di sostegno al candidato Déby con presunti interventi spontanei di semplici cittadini.
Cavalcando la promessa di “affermazione” in un paese dove – malgrado le risorse petrolifere e gli impegni presi nei confronti dei creditori per migliorare la sanità e l’istruzione – la metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e il 70 per cento è analfabeta, il presidente-candidato Déby non tollera alcuna contestazione.
Da diverse settimane alla società civile è vietato manifestare pacificamente per chiedere un’alternanza democratica. Il 6 aprile un’esercito di poliziotti e gendarmi è stato mobilitato per impedire una manifestazione di poche decine di oppositori che volevano chiedere la liberazione di cinque loro leader.
“In qualsiasi momento avrebbero potuto sparare e uccidere”, commenta il segretario generale aggiunto dell’Unione dei sindacati del Ciad, Goukouni Maina.
Déby si circonda di collaboratori della sua etnia zaghawa per evitare i tradimenti e favorirne gli affari
Nel frattempo “gli altri candidati fanno campagna nelle loro roccaforti di provincia”, spiega un giornalista ciadiano.
Tra loro c’è l’eterno rivale di Déby, l’oppositore ufficiale Saleh Kebzaboh, candidato dell’Unione nazionale per lo sviluppo e il rinnovamento (Undr), originario del sudovest, la regione più popolosa del paese.
Forte di una decina di deputati, il capo dell’opposizione promette di “promuovere l’unità nazionale e l’istruzione in vista di uno sviluppo integrale del popolo del Ciad”.
In lizza ci sono altri 12 candidati, tra cui l’ex primo ministro Joseph Djimrangar Dadnadji, uomo interno al “sistema Déby” e membro del partito al potere per 20 anni. Dopo aver rassegnato le dimissioni dal Mps, Dadnadji afferma di voler “combattere contro la ereditarietà e la vendita del potere”.
Il riferimento è alla condotta di Déby, che si circonda di collaboratori della sua etnia zaghawa per evitare i tradimenti e favorirne gli affari. I zaghawa controllano i vertici del temuto esercito ciadiano che nella regione del Sahel combatte contro gli islamisti.
“I membri dell’etnia zaghawa sono generalmente al vertice della gerarchia militare e beneficiano di un’impunità pressoché totale”, scriveva recentemente l’International crisis group (Icg).
Questi privilegi, che riguardano persino la cifra versata alle famiglie dei soldati morti al fronte, variabili a seconda dell’appartenenza etnica, sono mal tollerati dalla popolazione.
A febbraio lo stupro di una sedicenne da parte di alcuni figli di dignitari, tra cui diversi generali e il ministro degli esteri, ha creato un movimento di indignazione popolare.
Le manifestazioni spontanee dei liceali e la successiva protesta ville morte (con scuole e negozi chiusi e molte strade bloccate) sono stati “una novità assoluta”, secondo le testimonianze raccolte dall’Afp.
In ogni caso secondo l’Icg la reale minaccia di attentati compiuti dagli islamisti del gruppo nigeriano Boko haram, che nel 2015 hanno colpito due volte N’Djamena, “legittima un regime forte” e misure di sicurezza rafforzate.
Costantemente alla ricerca di un modo per sopravvivere, la popolazione sembra pronta a concedere senza battere ciglio un nuovo mandato di Idriss Déby Itno, il cui partito ha per simbolo un kalashnikov incrociato con una zappa.
(09/04/2016 Fonte: Internazionale)
Enrico Casale
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