Di Cèline Camoin
Martedì 27 maggio il Museo delle Civiltà di Roma ospita una giornata di studio gratuita, tra arte e urbanistica, con artisti, curatori e studiosi che indagano le metropoli africane come laboratori vitali e in continua trasformazione. Da Dakar a Niamey, da Luanda a Yaoundé, città che sfuggono ai parametri occidentali diventano modelli alternativi per ripensare lo spazio urbano.
Cosa può apprendere Roma da città come Cape Town ad Abidjan, da Niamey a Yaoundé, da Luanda a Dakar, metropoli che sfuggono ai parametri architettonico-urbanistici occidentali e sono in continua mutazione?
A rispondere saranno artisti e curatori nella giornata di studio in programma martedì 27 maggio al Museo delle Civiltà di Roma (ingresso libero), organizzata a margine del convegno internazionale “Have known rivers and cities. African cities on the move”, previsto alle ore 10. L’appuntamento porterà testimonianze che mostrano quanto luoghi spesso ignorati dall’Occidente siano in realtà vivi, vitali, tutt’altro che periferici.
L’evento fa parte dell’Iper Festival (festival delle periferie) e si articolerà in varie sessioni. Tra queste, Le città africane. La città di tutte le città, a cura di Simon Njami (autore, curatore e critico d’arte), che guiderà il pubblico alla scoperta delle principali città africane, unite in quella città immaginaria «che non appartiene a nessuno ma in cui ognuno può costruire le sue geografie e i suoi orientamenti».
«Città immaginarie, luoghi discorsivi e di negoziazione, senza comfort zone, alla cui creazione contribuiscono ogni giorno in maniera determinante artisti, poeti, scrittori e musicisti; coloro che percorrono la città, ne vivono la realtà e cercano un linguaggio adatto per tradurla. Le città africane come vocabolari in continua scrittura, mai fissati in una forma stabile, ma in costante evoluzione, dove il movimento e la processualità sono elementi vitali», si legge nella presentazione dell’evento.
Sarà presente anche Laetitia Ky, artista e attivista ivoriana, reduce dalla produzione di un reportage fotografico realizzato a Kyoto per il festival di fotografia Kyotographie. Racconterà la sua esperienza di città vissute e attraversate alla ricerca di storie, memorie e archivi, come quelli che fin da giovanissima ha espresso con il proprio corpo, soprattutto con i suoi capelli: un linguaggio non verbale ma fortemente identitario.

Ai confini del Sahel. Città e condivisione progettuale. Niamey e Bamako è invece il titolo della sessione dedicata al lavoro di Yo-Yo Gonthier, artista visivo, fotografo e regista originario di Niamey, in Niger. Attraverso foto e filmati illustrerà due progetti partecipativi: La Cour, organizzato a Bamako dal 2015 al 2019, e Burey Bambata, attivo a Niamey tra il 2016 e il 2019. Due esperienze che hanno prodotto dinamiche e soluzioni inedite, conducendo i partecipanti a scoprire nuovi sguardi e modi di osservare la realtà.
Jenny Mbaye, docente presso la School of Communication & Creativity della City della University of London, ricercatrice e saggista, condurrà la sessione “Dalla scena culturale e creativa del tessuto urbano delle città nell’Africa subsahariana alla scena internazionale: dinamiche e protagonisti”. Con un approccio olistico e sistemico, esplorerà le scene creative e culturali espresse da alcune città subsahariane, illustrando le dinamiche di sviluppo e relazione. Luoghi concepiti come laboratori di sperimentazione artistica e culturale, animati da figure che sono al tempo stesso artisti, promotori, curatori e agenti culturali, capaci di garantire il funzionamento di queste realtà e di espanderne le connessioni internazionali attraverso strategie e pratiche innovative.

Una delle numerose sessioni sarà L’Africa&Napoli, a cura di Andrea Aragosa (curatore, producer e manager musicale). Un legame nato da una storia familiare risalente al periodo coloniale italiano, approfondito attraverso un viaggio iniziato a metà degli anni Ottanta con l’amore per la world music, che lo ha portato a incontrare grandi figure come Manu Dibango, Hugh Masekela, Papa Wemba, e a esplorare il Raï algerino. Un percorso musicale e culturale che ha superato i confini europei, con concerti di Cesária Évora, Miriam Makeba, Goran Bregović, Dulce Pontes, Enrique Morente. Oltre alla musica, si è trattato di una ricerca visiva e culturale che ha incluso maschere, sculture, terrecotte e arte contemporanea, come nella prima esposizione italiana dedicata alle tavole di scrittura coranica e talismanica del nord della Nigeria, al Maschio Angioino di Napoli.
La fotografia sarà protagonista con la mostra Sole Nero, che raccoglie 312 immagini dell’Africa dal 1920 a oggi, firmate da grandi artisti come Samuel Fosso, Aïda Muluneh, Victor Diop e Zanele Muholi.
Un altro tema centrale sarà il rapporto tra l’arte tradizionale africana, il cosiddetto “primitivismo”, e il ruolo dell’Italia, in particolare con la Biennale di Venezia del 1922. Un legame testimoniato anche da pubblicazioni e documenti che trasformano il viaggio in una pausa letteraria e riflessiva.