Il banco di prova per l’Africa subsahariana dopo il ridimensionamento di USAID

di claudia

Di Federico PaniCentro studi AMIStaDeS APS

Il ridimensionamento di USAID da parte dell’amministrazione Trump ha lasciato un vuoto critico in Africa subsahariana, compromettendo settori vitali come sanità, istruzione e conservazione ambientale. I Paesi della regione sono ora chiamati a rafforzare le istituzioni locali, attrarre investimenti privati e valorizzare le rimesse per costruire un modello di sviluppo più autonomo.

Il 20 gennaio scorso, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha sospeso i programmi di aiuti esteri per 90 giorni. A seguire, il 10 marzo, il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato l’annullamento di 5.200 contratti dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), equivalenti all’83% del totale. La misura segna una drastica riduzione dell’impegno americano in ambiti come salute, istruzione e conservazione ambientale nei Paesi a basso reddito. L’insieme di queste decisioni rischia di causare conseguenze estremamente gravi specie in quei Paesi dove gli aiuti allo sviluppo ammontano a oltre il 10% del reddito nazionale lordo.

Nel continente africano, specie nell’area subsahariana l’Agenzia ha svolto in passato un ruolo determinante nel rafforzare, ad esempio, l’assistenza sanitaria, nella sorveglianza delle malattie infettive e nell’affrontare le minacce emergenti per la salute pubblica, come Ebola, malaria e tubercolosi oppure nel programma in contrasto all’HIV. Ad esempio, il Piano di Emergenza noto come Pepfar, sostenuto da USAID in Sudafrica, ha raggiunto un impatto globale significativo sulla prevenzione e il trattamento dell’HIV e dell’AIDS. The Lancet stima che senza i finanziamenti costanti e stabili offerti in passato da USAID i primi a subirne gli effetti saranno i bambini: fino a un milione potrebbe contrarre l’HIV, quasi mezzo milione potrebbe morire di AIDS entro il 2030 e 2,8 milioni rischierebbero di rimanere orfani in tutta la regione.

Nell’area subsahariana il contributo dell’Agenzia americana non si è limitato alla sanità. Investimenti significativi sono stati indirizzati anche all’istruzione, con Etiopia e Somalia tra i maggiori beneficiari, rispettivamente con 17 e 14 milioni di dollari per l’educazione di base. In Etiopia, ad esempio, oggi un progetto che si proponeva di migliorare l’accesso ai servizi igienico-sanitari di donne e ragazze bisognose di aiuti alimentari e assistenza sanitaria a causa dei conflitti ricorrenti in alcune regioni, tra cui il Tigray, rischia lo stop. Per sostenere i progetti precedentemente finanziati da USAID il parlamento etiope ha dovuto ricorrere a una radicale riforma fiscale tra cui una nuova tassa per tutti i lavoratori impiegati sia nel settore privato che in quello pubblico. Un contributo obbligatorio sarà richiesto anche alle aziende di settori come quello bancario e alberghiero. La rapida attuazione da parte del governo etiope di meccanismi di finanziamento alternativi sottolinea la gravità della situazione e l’importanza cruciale di mantenere sistemi di supporto durante questo periodo di transizione.

In Somalia, invece, USAID ha sostenuto progetti di ogni tipo, dai programmi igienico-sanitari alla nutrizione di emergenza, con fondi erogati tramite organizzazioni governative e non governative: la decisione di Trump minaccia ora di paralizzare le ONG che lavorano per supportare i circa tre milioni di sfollati. Il campo di Hussein ospita quasi 8.000 famiglie di sfollati somali tra cui Ruqiya Abdulle Ubeyd, una madre di otto figli di 85 anni che si è detta scioccata dalla decisione di Trump. Una delle organizzazioni più colpite è la Somali Young Doctors Association, SOYDA, fornitore chiave di assistenza medica nei campi. Il suo fondatore, il dottor Abdiqani Sheikh Omar, già alto funzionario del Ministero della Salute somalo, ha affermato che l’improvvisa dichiarazione di Trump ha destabilizzato i loro programmi.

Lo smantellamento dell’USAID da parte dell’amministrazione Trump ha fatto molto di più che tagliare i cosiddetti aiuti umanitari e ha anche eliminato i finanziamenti per la protezione e la conservazione ambientale in decine di Paesi, con molti programmi che oggi rischiano di chiudere: alcune organizzazioni no-profit hanno già chiuso i battenti, mentre altre si stanno affannando per trovare il modo di continuare a svolgere le loro attività vitali. USAID è stata infatti uno dei maggiori sostenitori al mondo della conservazione della fauna selvatica e della protezione ambientale, finanziando un portafoglio diversificato di progetti in decine di Paesi, come ad esempio il progetto namibiano Living in a Finite Environment (LIFE) il quale ha promosso modifiche legislative che hanno permesso alle comunità di appropriarsi e gestire i terreni a fini di conservazione. Altri progetti di valore finanziati da USAID nel continente includono Khetha, lanciato nel 2018 e implementato dal WWF Sudafrica che rischia ora lo stop dopo essere riuscita ad affrontare i crimini contro la fauna selvatica all’interno e nei dintorni del Parco Nazionale Kruger.

Con il ritiro dell’assistenza statunitense, i Paesi dell’Africa subsahariana sono chiamati a individuare strategie alternative per consolidare i progressi compiuti, con attenzione a tre settori cruciali: la risposta alle malattie infettive, la stabilità economica e lo sviluppo educativo e istituzionale. La fine del sostegno garantito da USAID potrebbe rappresentare un catalizzatore per ridurre la dipendenza da aiuti esteri, spingendo le nazioni africane a rafforzare la cooperazione regionale, rilanciare gli investimenti nelle istituzioni locali e costruire alleanze strategiche con il settore privato.

Un elemento chiave in questa transizione è rappresentato dalle rimesse degli africani all’estero, che nel solo 2024 hanno superato i 100 miliardi di dollari, una cifra tre volte superiore al totale degli aiuti internazionali allo sviluppo ricevuti dal continente. Un flusso economico costante che potrebbe essere valorizzato per sostenere iniziative locali e alimentare nuovi modelli di crescita guidati dall’interno. Nel 2023, gli Stati Uniti sono stati il principale Paese di origine di questi fondi, rappresentando una porzione significativa delle rimesse destinate al continente africano, che ha ricevuto poco più del 20% del totale globale. Oggi, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) prevede che, nonostante la tendenza al rialzo, l’incertezza legata a politiche migratorie più restrittive potrebbe influenzare questi flussi in futuro.

Per prepararsi a future emergenze sanitarie, l’Africa dovrà concentrarsi sul rafforzamento delle istituzioni regionali e locali, come l’Africa CDC, che già abilmente è intervenuta in risposta all’epidemia di Marburg, collaborando direttamente con il governo tanzaniano e arrivando a fornire 2 milioni di dollari. In questa direzione diverrà imprescindibile anche il supporto dell’Unione Africana e degli investimenti panafricani i quali potranno svolgere un ruolo gestionale centrale.

scuola

Senza USAID, gli sforzi per migliorare l’istruzione nell’Africa subsahariana dovranno essere indirizzati a rafforzare le istituzioni educative locali allo scopo di mantenere l’accesso all’istruzione per le fasce più giovani della popolazione. Un esempio di apripista e modello potrebbe essere il ruolo svolto dall’Aga Khan Development Network che ha ad esempio fondato scuole in diversi paesi dell’Africa subsahariana, tra cui Tanzania e Uganda, che offrono un’istruzione di alta qualità, preparando i giovani al mondo del lavoro. Nel settore dell’istruzione, inoltre, sarà essenziale sfruttare i partenariati pubblico-privato come già tracciato dalla Vodacom e-School, iniziativa di punta tra Vodacom e il governo sudafricano che offre contenuti didattici online gratuiti agli studenti dal primo anno di scuola formale fino al dodicesimo anno. Organizzazioni private, come lo sono Aga Khan e Vodacom, dovrebbero continuare a collaborare con i sistemi scolastici pubblici che si trovano ad affrontare carenze di finanziamento e difficoltà infrastrutturali, per garantire un più ampio accesso all’istruzione nell’Africa subsahariana in assenza di aiuti esteri.

Il rafforzamento di organizzazioni come l’Africa CDC, la promozione dell’imprenditorialità, l’espansione degli investimenti agricoli e la valorizzazione dei contributi filantropici e del settore privato saranno essenziali per affrontare la fase di transizione. Nonostante l’incertezza che la attende, l’Africa ha l’opportunità di affermare una maggiore autonomia nel suo sviluppo, garantendo resilienza a lungo termine e una crescita sostenibile indipendente dall’USAID. Tali politiche includono, ad esempio, quelle che accelerano il commercio intra-africano, che rappresenta meno del 20% del commercio totale africano; sostenere l’introduzione di valute sovrane (l’eco, una valuta proposta per l’Africa occidentale, non ha ancora visto la luce); o che portano più lavorazione delle risorse locali e formazione tecnica e scientifica nel continente.

In Etiopia l’introduzione di una nuova imposta per colmare il vuoto lasciato dalla sospensione dei finanziamenti da parte di USAID rappresenta già un approccio proattivo per garantire risorse finanziarie. Il successo di questa iniziativa dipenderà ora dalla capacità del governo di implementare efficacemente l’imposta e di gestire i fondi per rispondere ai bisogni urgenti dei suoi cittadini.

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