Kenya, propaganda 2.0: come il potere risponde alla Gen Z

di claudia

di Stefano Pancera

In Kenya la tensione resta alta: mentre il governo Ruto lancia una nuova campagna di comunicazione per prevenire proteste contro la legge finanziaria, la Generazione Z torna a mobilitarsi sui social. Tra disinformazione orchestrata, hashtag virali e un presidente sempre più distante, la sfida si gioca online, ma il malcontento resta profondo.

Ad un certo punto gli hanno tirato in faccia una scarpa. È accaduto qualche settimana fa mentre il presidente del Kenya William Ruto si stava rivolgendo alla folla parlando degli sforzi del governo per ridurre il costo della vita. In un clima di persistente tensione in Kenya, la figura di Ruto si fa sempre più distante e il suo gradimento tra i giovani kenioti continua a diminuire.

Dopo l’ondata di sanguinose proteste dello scorso anno, secondo Amnesty International, almeno 65 persone sono state uccise e 89 sono scomparse durante le proteste in un’escalation di repressione preoccupante, il governo keniota sembra oggi giocare d’anticipo e sta elaborando una nuova strategia di comunicazione per evitare altre proteste anche sul nuovo disegno di legge finanziaria.

Giugno 2024. Le proteste, culminate con l’assalto al Parlamento di Nairobi, costrinsero William Ruto a ritirare quel disegno di legge finanziaria che prevedeva aumenti di tasse su diversi beni di prima necessità.
Giugno 2025. La nuova finanziaria in discussione e raccontata sui social governativi come priva di aumenti o nuove tasse, conterrà misure fiscali reintrodotte in forma modificata.

L’obiettivo del governo in questi mesi non è più “giustificare” ma “rassicurare”, grazie ad una macchina comunicativa ben oliata e un piano mediatico orchestrato nei minimi dettagli. La Generazione Z ha già utilizzato in modo innovativo le piattaforme digitali per organizzare e diffondere le proteste. Hashtag come #RejectFinanceBill2024 e #OccupyParliament sono diventati virali, facilitando la mobilitazione di massa e la condivisione di informazioni in tempo reale.

Il governo ha risposto lo scorso anno con una comunicazione aggressiva, impiegando influencer per diffondere disinformazione e screditare i manifestanti. Secondo un’indagine dell’AFP, alcuni blogger e personalità dei social media sono stati pagati per operare account falsi e influenzare l’opinione pubblica a favore del governo, ma ora la strategia è cambiata.
Il messaggio governativo infatti è stato rimodulato: toni concilianti, promesse di ascolto, rassicurazioni. Un cambio di passo netto rispetto al 2023, quando Ruto aveva giustificato le scelte impopolari come “sacrifici necessari” per ripagare il debito estero.

L’idea del presidente Ruto si basa su un approccio capillare e multicanale. Dai talk show alla radio fino ai social media, cercando di modellare il racconto intorno al piano fiscale 2025. In prima linea, non a caso, ci sono influencer digitali e voci ben note su piattaforme come X (ex Twitter) e Facebook. L’obiettivo? Evitare, o quanto meno contenere il ritorno delle proteste
Dennis Itumbi, – Responsabile dei Progetti Speciali Presidenziali e del Coordinamento dell’Economia Creativa nell’Ufficio del Presidente – sebbene non abbia un ufficio formale, è considerato il “Mr. Social” di Ruto: gestisce le comunicazioni strategiche e progetti speciali. Braccio destro di lunga data del presidente, è il regista dell’operazione online. Hashtag come #BoldRuto e #NoNewTaxes2025 sono i caposaldi di una campagna ben coordinata per rafforzare l’immagine del governo.

Secondo un’inchiesta della BBC, molti influencer kenioti vengono da tempo compensati per promuovere messaggi politici sui social media, il che può influenzare la percezione pubblica e la diffusione di determinate narrative.
Certo, il fenomeno della disinformazione politica via social media in Africa non è affatto nuovo. Già nel 2019, ad esempio, Facebook aveva provveduto a rimuovere decine di account attivi in otto diversi paesi africani. Si trattava di profili falsi creati per promuovere interessi politici e commerciali legati alla Russia, a conferma di come le piattaforme digitali siano da anni il teatro invisibile di una guerra dell’informazione globale.
Le campagne di disinformazione più strutturate si basano su strategie a grappolo: piccoli gruppi di account coordinati che operano su diverse piattaforme social, moltiplicando i contenuti attraverso il copia e incolla di post e hashtag. Il trucco è semplice: creare decine di profili falsi e usarli come cassa di risonanza, un po’ come fare franchising della propaganda. Il risultato? Una valanga di notizie distorte che molti utenti non riescono a distinguere dalle informazioni autentiche. E quando una bugia viene ripetuta a raffica, giorno dopo giorno, finisce per suonare come una verità.

Ma l’hashtag #BoldRuto è più sofisticato, non amplifica notizie false, ma è stato ed è utilizzato per presentare il presidente Ruto come un leader audace e determinato.
I giovani kenioti però non sono tornati in piazza solo per le tasse — ci sono tornati (e ci torneranno) per cambiare un sistema intero che sentono ostile, chiuso, e corrotto. Ecco dunque perché la nuova strategia social del governo. Anche se la nuova legge finanziaria apparentemente evita l’introduzione di nuove tasse, le proteste della Generazione Z keniota persistono perché i problemi sono più profondi: corruzione, trasparenza delle finanze dello stato, diritti civili.

I ragazzi della Gen Z non sono ingenui e conoscono i social meglio degli esperti del presidente. Sanno benissimo che nessuno è stato ancora ritenuto responsabile per le uccisioni durante le scorse proteste, che le famiglie delle vittime non hanno ricevuto risarcimenti, e che la fiducia pubblica è ridotta ai minimi storici.
Per questo motivo, il piano di comunicazione, sebbene ambizioso, rischia di essere presto percepito come una mera “operazione cosmetica”. Lo dice senza mezzi termini anche John Wafula, attivista del gruppo civico Bunge la Mwananchi: “Il governo può anche cambiare tono, ma finché non ci sarà giustizia per i morti e sollievo per l’economia, la gente non ascolterà”.

Tradizionalmente, in passato (ed anche oggi) molti governi hanno fatto ricorso a metodi più diretti e brutali: arresti di attivisti digitali, oscuramento di Internet, blocco delle reti mobili. Ma oggi – osserva George Ogola, docente presso l’Università del Central Lancashire, – “chiudere Internet non funziona più come prima”, anche se molti governi continuano comunque a farlo. Il nuovo trend è più subdolo, consiste nell’influenzare le agende politiche e plasmare il dibattito pubblico interno con tecniche sempre più sofisticate che hanno il finto profumo del libero pensiero.
“Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più potente delle voci che voi oggi soffocate.” Era l’ultimo grido di August Spies, uno degli anarchici impiccati l’11 novembre 1887 dopo la rivolta di Haymarket a Chicago. Parole che tornano ogni volta che una generazione protesta e si ritrova davanti a un muro. Anche quando quel muro è fatto solo di bugie in rete molto ben confezionate

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