Kenya, sentenza storica per i somali keniani erroneamente registrati come rifugiati

di claudia

 L’Alta Corte di Garissa ha emesso una sentenza che ordina al governo keniano di rilasciare documenti di nazionalità ai cittadini somali keniani registrati erroneamente come rifugiati, privandoli per anni dell’accesso ai diritti fondamentali. Lo hanno reso noto Human Rights Watch e Haki na Sheria, sottolineando che la decisione rappresenta un passo importante per il riconoscimento dei diritti di migliaia di persone che, a causa di errori nei dati, si sono viste negare accesso all’istruzione, al lavoro e ai passaporti.

La sentenza impone al governo la rimozione dei nomi dal database dei rifugiati entro 60 giorni e la creazione di nuovi comitati di verifica per identificare altri cittadini keniani nella stessa situazione. Secondo il direttore esecutivo di Haki na Sheria, Yussuf Bashir, l’ordinanza della Corte è positiva ma deve essere seguita da azioni concrete per tutti coloro che sono stati colpiti.

L’errore risale al periodo tra 1991 e 2014, quando l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha registrato rifugiati provenienti dalla Somalia, raccogliendo dati biometrici come impronte digitali. In questo contesto, circa 40.000 somali keniani sono stati erroneamente inseriti nei registri dei rifugiati, a volte per ottenere aiuti umanitari durante periodi di grave crisi, ma senza possibilità di correggere il loro status in seguito. Dal 2016, la registrazione dei rifugiati è passata interamente sotto la gestione del governo keniano, ma le persone erroneamente registrate come rifugiati non hanno mai avuto la possibilità di rimuovere i propri dati dal database Primes dell’Unhcr, rimanendo di fatto apolidi.

L’assenza di un documento d’identità ha avuto conseguenze gravi per gli interessati, impedendo loro di iscriversi all’università, trovare lavoro, aprire conti bancari, accedere ai servizi sanitari e registrare matrimoni e nascite. Molti hanno riferito di essere stati detenuti dalla polizia ai posti di blocco per non aver potuto esibire un documento valido.

L’Alta Corte ha ora imposto al governo keniano di collaborare con le autorità competenti per garantire che i cittadini privati della loro identità possano accedere ai servizi essenziali senza discriminazioni. “Il sistema di registrazione ha lasciato migliaia di cittadini senza una patria. Questo è un chiaro esempio di come l’identità digitale possa causare danni concreti”, ha dichiarato Belkis Wille, di Human Rights Watch, esortando il Kenya e altri Paesi a garantire sistemi di identificazione inclusivi e rispettosi dei diritti umani.

La sentenza potrebbe rappresentare un punto di svolta per la tutela dei diritti delle comunità emarginate in Kenya. Tuttavia, restano dubbi sull’efficacia della sua implementazione, considerando che il problema è legato alle stesse istituzioni governative incaricate della registrazione della popolazione.

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