di Céline Camoin
Un recente rapporto del think tank Timbuktu Institute segnala un aumento delle attività del gruppo armato JNIM (o GSIM), nella regione di Kayes, situata al confine tra Mali, Guinea, Mauritania e Senegal. Se è probabile da una parte che in futuro lo Jnim tenterà di espandere gradualmente il suo controllo territoriale, dall’altra il Senegal dispone di fattori di resilienza che finora lo hanno risparmiato.
Le azioni del gruppo armato Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimîn (Jnim, o Gsim, gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani) nel sud-ovest del Mali indicano che il gruppo sta cercando di infiltrarsi in Mauritania e Senegal: lo denuncia think tank Timbuktu Institute, basato in Senegal, in un nuovo rapporto.
Secondo gli autori del rapporto, lo Jnim ha incrementato esponenzialmente le sue attività a Kayes, una regione al confine tra Mali, Guinea, Mauritania e Senegal. Queste attività includono attacchi complessi alle forze di sicurezza, coercizione dei civili ed economia criminale. L’obiettivo principale dello Jnim è quello di cacciare le forze di sicurezza maliane dalle zone vicine a Bamako e delegittimare il governo, gettando così le basi per un’espansione della sua area di operazioni.
Il gruppo si è già infiltrato illecitamente in settori economici chiave, come l’industria forestale e quella mineraria, che dipendono dal commercio con la Mauritania e il Senegal. Gli interessi dello Jnim in questi settori le consentono di creare reti transfrontaliere. Il gruppo è consapevole che potrà poi utilizzare queste reti per agevolare lo spostamento di persone e risorse affiliate in Mauritania e Senegal. Sebbene la sua priorità immediata sia quella di utilizzare le aree mauritane e senegalesi a fini economici per facilitare il finanziamento delle sue azioni e il reclutamento, è probabile che in futuro lo Jnim tenterà di espandere gradualmente il suo controllo territoriale.

Il Senegal presenta vulnerabilità che lo Jnim può sfruttare, tra cui una frontiera porosa, una scarsa consapevolezza delle problematiche di sicurezza tra la popolazione, urgenti sfide socioeconomiche e la diffusione del salafismo come matrice ideologica. Il confine tra Senegal e Mali è già ampiamente sfruttato dai contrabbandieri e la sua conformazione geografica ne rende più difficile la sicurezza. Tuttavia, una parte significativa della popolazione nelle regioni minacciate dall’espansione dello Jnim non considera il gruppo una minaccia immediata. In queste zone la disoccupazione resta elevata e il sistema delle caste nella zona di Bakel perpetua la disuguaglianza e altre ingiustizie attraverso la stigmatizzazione di intere comunità.
Gli ideologi salafiti hanno sfruttato queste lamentele per influenzare le convinzioni religiose degli individui, rendendoli potenzialmente più ricettivi all’estremismo violento, brandendo l’offerta di una “teologia della liberazione” dell’Islam tradizionale, i cui praticanti non condannano a sufficienza il sistema delle caste. Il Senegal orientale potrebbe essere vulnerabile a queste ideologie perché il sufismo non è così diffuso come nel resto del Paese. Lo Jnim ha già sfruttato vulnerabilità simili in tutto il Sahel; Il Senegal non dovrebbe essere considerato un’eccezione duratura senza sforzi di prevenzione e di rafforzamento della resilienza della comunità.
Allo stesso tempo, il Senegal dispone di fattori di resilienza che finora lo hanno risparmiato, in primo luogo la sua coesione sociale e le sue forze di sicurezza competenti e professionali. A ciò si aggiunge il rispetto reciproco e lo spirito di pacifica convivenza che caratterizza i diversi gruppi etnici e religiosi. Le loro relazioni armoniose rendono difficile per il gruppo terrorista sfruttare le tensioni esistenti a proprio vantaggio, come è riuscito a fare altrove nella regione. Inoltre, la stragrande maggioranza dei senegalesi non condivide le ideologie più radicali condivise dai seguaci di gruppi come lo Jnim. Sono favorevoli agli insegnamenti moderati dell’Islam, in particolare quelli dei leader delle confraternite sufi, che rafforzano la coesione sociale e si oppongono alla radicalizzazione e all’estremismo violento.
Sebbene le confraternite non siano così influenti nelle regioni di confine orientali, finora non hanno assistito a un aumento significativo dell’estremismo. Inoltre, il Senegal dispone di forze di sicurezza professionali che mantengono relazioni sane e relativamente pacifiche con le popolazioni locali. Ciò attenua un’altra lamentela che lo Jnim ha sfruttato nel Sahel, vale a dire la contrapposizione tra le popolazioni di confine e le forze di sicurezza. Da questo punto di vista, il Senegal ha una solida base di resilienza per impedire l’espansione e l’insediamento duraturo dello Jnim.

Sulla base di questi fatti, il Timbuktu Institute – African center for peace studies, suggerisce che il governo senegalese faccia leva su questi punti di forza e affronti le vulnerabilità per migliorare la sicurezza delle aree più esposte del suo territorio, rafforzando la resilienza delle comunità. È necessario rafforzare la presenza delle sue forze di sicurezza permanenti nelle regioni di confine, nonché la cooperazione con Mali e Mauritania. Dovrebbe inoltre condurre campagne di sensibilizzazione tra i leader locali, siano essi religiosi o tradizionali, e incrementare i programmi volti ad alleviare le difficoltà e le vulnerabilità socio-economiche. Tali politiche basate su un approccio olistico dovranno integrare gli aspetti misure di sicurezza, culturali e socio-economiche per limitare le possibilità di infiltrazione dello Jnim.