La libertà di stampa diminuisce in molti Paesi africani

di claudia
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di Céline Camoin

La libertà di stampa sta diminuendo in modo preoccupante in molti Paesi africani: in molti casi i media restano concentrati nelle mani di pochi gruppi privati ​​vicini al potere o a personalità con interessi politici, compromettendo così l’indipendenza delle redazioni.

Nel nuovo rapporto dell’organizzazione Reporter senza frontiere (Rsf) sulla libertà di stampa nel mondo, si nota che questa concentrazione è particolarmente notevole in Paesi come la Nigeria (122°, -10 posizioni), la Sierra Leone (56°) e il Camerun (131°). A ciò si accompagna una dipendenza dalle entrate pubblicitarie, alimentate principalmente dai budget per la comunicazione dello Stato e delle grandi aziende. È il caso del Benin (92°) e del Togo (121°). Questa situazione aumenta la pressione sulle redazioni, costrette ad autocensurarsi per paura di perdere questi finanziamenti. In Kenya (117°), a farne le spese è stato The Nation: il quotidiano si è visto ritirare la pubblicità dall’operatore Safaricom dopo aver rivelato il ruolo dell’operatore nel monitoraggio delle comunicazioni dei cittadini.

Si deplora inoltre che la mancanza di sussidi pubblici sostenibili e trasparenti indebolisce ulteriormente il settore. In molti Paesi gli aiuti statali sono scarsi o distribuiti in modo discrezionale. In Mauritania (50°), sono indeboliti dalla cattiva governance, che compromette l’indipendenza dei media. In Senegal (74°), la trasparenza è al centro delle riforme in corso, non senza proteste da parte della categoria, che deve anche far fronte a controlli fiscali più intensi e alla sospensione degli accordi pubblicitari con gli enti pubblici.

Nel Sahel, il deterioramento della sicurezza compromette direttamente la sostenibilità economica dei media. Alcuni, in Mali (119°, -5 posizioni) e Burkina Faso (105°, -19 posizioni), hanno visto le loro attività sospese e i loro team costretti allo sfollamento interno o all’esilio. I giornalisti ritenuti critici nei confronti delle autorità burkinabé sono stati addirittura arruolati con la forza nell’esercito, rafforzando il silenzio che regna sui media. In Sudan (156°), la guerra in corso ha esacerbato le difficoltà economiche dei media, già oggetto di strumentalizzazione dell’informazione da parte delle parti in conflitto. Lo stesso vale per l’est della Repubblica Democratica del Congo (133°, -10 posizioni), con decine di stazioni radio chiuse e giornalisti sfollati, ora senza lavoro.

A queste dinamiche di sicurezza si aggiungono misure giudiziarie e amministrative con gravi conseguenze per la salute finanziaria dei media. In molti Paesi, le autorità si avvalgono dei tribunali o degli enti di regolamentazione per sanzionare i mezzi di informazione. In Guinea (103°), il ritiro delle licenze ai media, come Djoma TV o Espace FM, ha portato alla perdita di oltre 700 posti di lavoro. In Mali (119°), la sospensione di sei mesi del canale televisivo Joliba da parte dell’organismo di regolamentazione ha causato un calo degli introiti pubblicitari.

Sette Paesi africani si trovano ora nell’ultimo quarto della classifica. L’Uganda (143°), l’Etiopia (145°) e il Ruanda (146°) si trovano quest’anno in una situazione “molto grave”. Il Burundi (125°), già in fondo alla classifica, è sceso di 17 posizioni. Nonostante il rilascio della presentatrice di Radio Igicaniro Floriane Irangabiye, la situazione generale resta critica e molti organi di informazione burundesi operano dall’esilio. L’Eritrea (180°) resta l’ultimo Paese della classifica. La stampa è sottoposta al potere arbitrario del presidente Issaias Afeworki: non esistono più organi di stampa indipendenti in questo Paese, tristemente noto per le detenzioni di giornalisti più lunghe al mondo, tra cui il giornalista svedese-eritreo Dawit Isaak.

In un’Africa in cui fornire informazioni sta diventando una sfida quotidiana, il miglioramento arriva da Paesi ben classificati come Sudafrica (27°), Namibia (28°), Capo Verde (30°) e Gabon (41°).

Kais Saied
Kais Saied

Il caso della Tunisia

La Tunisia è l’unico Paese in declino del Nord Africa in declino nella classifica. Il Paese si ritrova infatti in questo 2025 al 129° posto su 180, perdendo 10 posizioni rispetto allo scorso anno. Dalla rivoluzione del 2011, il panorama dei media si è notevolmente diversificato. Ma la crisi economica ha indebolito l’indipendenza di molte redazioni, dominate da interessi politici o economici, e ha minato questo pluralismo emergente. Dal 2021, i sostenitori del presidente Kais Saied hanno occupato un posto di rilievo sulle piattaforme mediatiche, imponendo un discorso a lui favorevole. La mancanza di soluzioni economiche sostenibili ha costretto diverse emittenti private a rassegnarsi a trasmettere contenuti prevalentemente dedicati alla vendita, a scapito dell’informazione. La televisione è il media più seguito, in particolare i canali pubblici Al Wataniya 1 e 2, davanti alla radio, la cui emittente principale è Mosaique Fm. La stampa online è molto seguita, mentre la stampa cartacea sta perdendo terreno.

Nonostante il Marocco (120°, +9) e la Libia (137°, +6) siano leggermente saliti in classifica, restano nell’ultimo terzo, dovendo ancora far fronte a ricorrenti attacchi all’indipendenza dei media. In Algeria (126°), in un contesto di continua repressione giudiziaria dei professionisti dell’informazione, la grazia presidenziale accordata al giornalista Ihsane El Kadi dopo 22 mesi di detenzione ha permesso al Paese di registrare una leggera progressione nella classifica. 

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