L’attivista keniano Boniface Mwangi è stato ritrovato vivo a Ukunda, città lungo la costa del Kenya. La notizia è stata confermata dalla sua famiglia e dal portavoce del ministro degli Esteri keniano Musalia Mudavadi. Secondo quanto dice un suo familiare a InfoAfrica, attualmente Mwangi sarebbe ricoverato in ospedale per accertamenti sul suo stato di salute, circostanza confermata anche dal suo avvocato.
L’attivista keniano era stato arrestato a Dar Es Salaam nella notte tra il 18 e il 19 maggio, prelevato dalla polizia tanzaniana, armi in pugno, dalla sua stanza del Serena Hotel, e trasferito al Commissariato centrale della città portuale tanzaniana. Da allora, di lui non si era saputo più nulla.
Sono stati giorni di tensione e grande preoccupazione sulla sorte di Mwangi: secondo una dichiarazione diffusa ieri sera dal ministero degli Affari esteri del Kenya, Nairobi ha tentato più volte di raggiungere Mwangi tramite le autorità tanzaniane, ma senza successo: il ministero keniano ha riferito che “i continui sforzi per raggiungere Mwangi” erano stati vani e si è detto “preoccupato per la sua salute”, esprimendo “la sua profonda preoccupazione per l’arresto”. Secondo la dichiarazione “nonostante le numerose richieste” avanzate dal Kenya alle autorità tanzaniane, queste ultime hanno sempre negato l’accesso a ogni informazione su Mwangi e ha citato le disposizioni della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, che stabiliscono che i funzionari diplomatici e consolari hanno il diritto di incontrare e comunicare con cittadini detenuti in un altro Paese, oltre che di garantire loro assistenza legale, cosa che il Kenya ha detto gli è stato negato.
Mwangi si trovava a Dar Es Salaam, capitale costiera della Tanzania, per partecipare come pubblico alla prima udienza del processo a carico di Tundu Lissu, il leader del partito tanzaniano di opposizione Chadema, arrestato i primi di aprile e accusato di tradimento, un processo che i sostenitori di Chadema e tante organizzazioni della società civile ritengono che sia politico. “La mia vita è in pericolo”, ha scritto Mwangi su X alle 23,36 del 18 maggio. “Sono al Serena Hotel di Dar es Salaam e ci sono uomini armati in borghese fuori dalla mia stanza – ha aggiunto -. Dicono di essere poliziotti, ma si sono rifiutati di identificarsi. Dovranno sfondare la porta per portarmi via, non ho intenzione di aprirla”.

Nato nel 1983, Mwangi è un fotoreporter e attivista, noto per gli scatti delle violenze post-elettorali avvenute in Kenya nel 2007 e nel 2008, per le quali l’attuale presidente William Ruto fu imputato alla Corte penale internazionale (accuse poi abbandonate nel 2016), tra le 100 personalità africane più influenti nel 2020 per la rivista The new african. Dopo il giornalismo, Mwangi ha iniziato ad occuparsi di diritti umani e lotta all’impunità e, dal 2013, denuncia la corruzione nella politica e incita i giovani all’interesse e all’attivismo politico. L’anno scorso, Mwangi è stato riconosciuto come uno dei leader della protesta della GenZ, che per settimane ha paralizzato il Kenya. Due giorni fa, i media tanzaniani e keniani avevano dato la notizia che Mwangi si trovava ancora in custodia presso il Commissariato centrale, specificando che le autorità tanzaniane avevano avviato la procedura per l’espulsione dal Paese, come già accaduto lunedì all’ex-ministra della giustizia keniana, Martha Karoua, e all’ex-presidente della Corte suprema del Kenya, Willy Mutunga, che arrivati a Dar per il processo a Lissu sono stati fermati in aeroporto e spediti indietro come “persone non grate”. Sempre due giorni fa, in serata, è stata poi diffusa la notizia dell’avvenuta espulsione dalla Tanzania da Boniface Mwabukusi, presidente della Tanganyika law society (Tls), deportazione avvenuta “sotto la supervisione degli ufficiali dell’immigrazione della Tanzania”.
Ieri a Nairobi si è svolta una manifestazione di protesta davanti alla Uganda high commission, l’ambasciata ugandese, per chiedere di fare luce sulla sparizione di Mwangi e dell’attivista ugandese Agatha Atuhaire, anche lei scomparsa nella medesima circostanza di Mwangi, che l’ultima volta che è stato visto era vivo e detenuto al Commissariato centrale di Dar Es Salaam. Alla manifestazione di Nairobi ha partecipato anche Hellen Njeri Mwangi, moglie di Boniface Mwangi, in lacrime: “Quello che le autorità tanzaniane stanno dicendo è che lo hanno deportato” in Kenya “ma non ci sono prove di questa deportazione. Perché nessuno l’ha visto? Dove è mio marito” ha tuonato Hellen Njeri ai microfoni di Citizen tv, che ha anche scritto una lettera aperta alle autorità keniane e tanzaniane in cui afferma di stare valutando di rivolgersi al Gruppo di lavoro delle Nazioni unite sulle sparizioni forzate.