di Andrew Muthoni Kamau
Dall’inferno degli slum al successo dei videogames: il riscatto dei giovani keniani nel mondo degli e-sport. Nelle baraccopoli di Nairobi fioriscono grandi campioni e geniali ideatori di videogiochi. Il loro successo è fonte di ispirazione per una nuova generazione di africani, sempre più digitalizzati grazie alla diffusione di internet e degli smartphone. Nel mondo virtuale del gaming vedono un’opportunità di riscatto e di lavoro
«Se sono vivo oggi, è grazie alla realtà fantastica dei videogames». Brian Diang’a, giovane keniano di 28 anni, ha trovato nei videogiochi l’unico rifugio sicuro dalla difficile infanzia trascorsa a Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi. In un contesto segnato da povertà e violenza, Brian ha trovato nei videogiochi un’evasione mentale e un sollievo emotivo, che gli hanno permesso di affrontare un ambiente familiare segnato dall’alcolismo del padre, che trasformava ogni ritorno a casa in un incubo. «Giocare era l’unico modo di sentirmi al sicuro», ricorda Brian, sottolineando come il virtuale fosse una via di fuga essenziale dalla realtà.
La sua passione è nata presto: all’età di nove anni scopriva le sale giochi e i tornei locali, dove trovare un momentaneo distacco dalla vita quotidiana. Una passione, tuttavia, che preoccupava sua madre, temendo potesse distoglierlo dallo studio. «Mia madre mi picchiava ogni volta che mi trovava in una sala giochi», racconta. Ma per lui era un prezzo da pagare per sentirsi davvero sé stesso. Quella passione apparentemente inconcludente si è rivelata in realtà la chiave per un futuro inaspettato, permettendogli di guadagnarsi da vivere e di ottenere riconoscimento.

I campioni del joystick
Oggi Brian Diang’a è conosciuto, nel mondo videoludico, con il nome di “Beast”, un avatar seguito e ammirato da migliaia di giovani kenyoti che sognano di emulare il suo successo. Guadagna circa 50.000 scellini al mese (circa 430 dollari), una somma significativa in un Paese dove la disoccupazione giovanile è elevatissima. Il punto di svolta si presentò nel 2013, quando, guardando video su YouTube, scoprì che alcuni professionisti di Mortal Kombat, uno dei suoi giochi preferiti, guadagnavano fino a 5.000 dollari per competizione. In quel momento Brian Diang’a decise di trasformare la sua passione in carriera.
In Kenya, la professione di gamer è ancora una nicchia, spesso vista con scetticismo, ma la storia di Brian e quella della giovane avvocata Sylvia Gathoni (conosciuta come “Queen Arrow”), la prima kenyota ingaggiata da un team internazionale, testimoniano una lenta rivoluzione. «La generazione dei miei genitori pensa che per avere successo sia necessario seguire un percorso specifico: studiare, impegnarsi, intraprendere una carriera tradizionale», racconta Gathoni, oggi sotto contratto con la Uyu, team statunitense di e-sport.
Queen Arrow rappresenta una nuova generazione di giovani africani che sfidano gli stereotipi, competendo a livello internazionale e portando il nome del Kenya nel mondo degli e-sport. Nonostante il boom demografico giovanile –il 60% degli africani è sotto i 25 anni – e il crescente interesse per gli e-sport, il continente africano affronta notevoli ostacoli nelle competizioni di videogiochi di livello agonistico e professionistico. La mancanza di infrastrutture, le connessioni internet care e lente, e l’assenza di server locali penalizzano i giocatori africani, che spesso si trovano a competere in condizioni svantaggiose rispetto ai colleghi internazionali. In Kenya, poi, l’ambiguità legislativa equipara l’e-sport al gioco d’azzardo, portando a frequenti controlli di polizia. Laureata in legge, Sylvia Gathoni spera di specializzarsi in normative per gli e-sport, con l’obiettivo di creare una legislazione che permetta al settore di crescere e consenta a molti giovani di trasformare la passione per i videogiochi in professione.
Eroi neri
Il primo campionato africano di e-sport (Aec24) si è tenuto lo scorso agosto a Casablanca, in Marocco, rappresentando un importante segnale di crescita per il gaming africano, considerato la nuova frontiera di un mercato in forte espansione. Valutato oggi a oltre 2 miliardi di dollari, si stima che il mercato africano crescerà con un tasso annuo del 12% fino al 2029. Smartphone e reti 5G rendono il gaming sempre più accessibile a milioni di giovani. Secondo proiezioni della Global Association of Telephone Operators and Manufacturers (Gsma), il numero di abbonati mobili nell’Africa subsahariana raggiungerà i 700 milioni entro la fine del decennio. Oltre a creare intrattenimento, il settore promette occupazione per molti giovani africani: la Banca africana di sviluppo stima che entro il 2026 oltre 100.000 nuovi posti di lavoro saranno direttamente collegati all’industria dei videogiochi. Al momento, i Paesi con i mercati più forti sono la Nigeria (249 milioni di dollari) e il Sudafrica (236 milioni), ma anche il Kenya, con i suoi 46 milioni, si sta ritagliando una nicchia.
Il boom dei videogiochi non si ferma all’importazione di prodotti stranieri. In Africa, ci sono imprenditori e programmatori che stanno già creando giochi per raccontare storie locali. Tra questi, Andrew Kaggia, 31 anni, fondatore e Ceo di Black Division Games, ha rivoluzionato il gaming africano con Nairobi X, videogioco ambientato nella capitale keniana in cui un soldato deve difendere la città da un’invasione aliena. Questo gioco rappresenta un passo avanti per una nuova generazione di prodotti di intrattenimento che mettono al centro l’identità e le storie africane, creando per il continente un posto nel panorama globale.

Messaggi positivi
Anche Usiku Games, una compagnia di Nairobi specializzata in videogiochi educativi, è una realtà in crescita e impiega giovani programmatori provenienti da ambienti svantaggiati. Usiku Games sviluppa giochi che, oltre al divertimento, veicolano messaggi socialmente utili su temi come ambiente ed educazione civica, utilizzando grafica e personaggi africani. Il Nairobi Game Development Center, uno spazio di coworking per game designers e sviluppatori, è oggi un vivace incubatore di innovazione tecnologica e creatività. E, tra monitor e tastiere, i giovani programmatori di Kibera e altre periferie lavorano a giochi che raccontano storie africane e celebrano eroi locali.
In un settore dominato dalle grandi case occidentali, come PlayStation, Xbox e Nintendo, l’Africa si sta imponendo come nuova frontiera creativa. E protagonisti di questa rivoluzione sono spesso giovani cresciuti in ambienti svantaggiati, talvolta tra le baracche di lamiera degli slum, capaci di affermarsi come imprenditori e programmatori. Ciò che più colpisce è che i loro giochi non sono intrisi di violenza – come i celebri Grand Theft Auto, Assassin’s Creed, Candy Crush e Fortnite – ma veicolano messaggi alternativi, intelligenti e responsabili. Messaggi positivi come la conservazione dell’ambiente, il rispetto delle regole, l’educazione civica. Ambienti e personaggi sono africani, la colonna sonora è costituita dai brani dei rapper locali più in voga. E – rivoluzione delle rivoluzioni – i campioni, reali e virtuali, sono tutti neri.
Questo articolo è uscito sul numero di 1/2025 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.