di Andrea Spinelli Barrile
Quattro giornalisti keniani sono stati rilasciati su cauzione dopo essere stati arrestati per il loro presunto coinvolgimento nella realizzazione del documentario della BBC che accusa le forze di sicurezza di aver sparato sui manifestanti disarmati davanti al Parlamento di Nairobi.
Sono stati rilasciati su cauzione i quattro giornalisti keniani che per la Bbc avrebbero realizzato il documentario “Blood Parliament”, nel quale viene identificata chiaramente l’identità di alcuni membri delle forze di sicurezza del Kenya che, a giugno, hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco i manifestanti della GenZ davanti al Parlamento di Nairobi. L’emittente britannica ha effettuato un’analisi di oltre 5.000 immagini, foto e video, e rivela che le persone uccise erano disarmate e non rappresentavano una minaccia.
Secondo il loro avvocato, Ian Mutiso, i quattro autori e registi erano stati fermati e arrestati venerdì. Si tratta di Nicholas Gichuki e Brian Adagala, trattenuti presso la stazione di polizia di Pangani, e di Mark Denver Karubiu e Chris Wamae, trattenuti presso la stazione di polizia di Muthaiga. I quattro sono stati scarcerati soltanto in seguito ad alcune proteste, molto ben organizzate e totalmente pacifiche. Mutiso ha aggiunto che il suo lavoro è stato reso particolarmente complicato dall’omertà delle autorità, che non volevano confermare gli arresti né la presenza degli arrestati nelle stazioni di polizia. Ha dichiarato ai giornalisti, radunatisi fuori dalla stazione di polizia di Muthaiga, che intenterà una causa contro la polizia per l’arresto e per la confisca dei filmati e di altre attrezzature. “La polizia sa che per mettere le mani su tale materiale e sulle attrezzature è necessario presentare una richiesta in tribunale e ottenere un mandato”, ha spiegato il legale, aggiungendo che “se la polizia dovesse cercare di utilizzare materiale ottenuto da attrezzature sequestrate in qualsiasi altro modo, lo faremo immediatamente cancellare dal verbale”.
Mutiso ha aggiunto che i suoi clienti sarebbero stati costretti a firmare dichiarazioni, di contenuto non chiaro, senza la sua presenza. “La polizia – ha detto – intendeva accusarli della pubblicazione di informazioni false, interrogandoli in circostanze coercitive” e ha aggiunto che i suoi clienti non sono gli autori del documentario dell’emittente britannica, che in effetti è stato pubblicato come redazionale e quindi in forma anonima, probabilmente proprio per proteggere l’identità dei giornalisti.

Il 25 giugno 2024 i giovani della GenZ si erano mobilitati per la terza protesta su larga scala dal 9 maggio, da quando era stata presentata la legge finanziaria al Parlamento. Quella mattina la manifestazione doveva essere una festa: fischietti, volti colorati, altoparlanti Bluetooth a trasmettere musica a tutto volume; già nelle prime ore del mattino i manifestanti sciamavano nel Cbd, il centro finanziario della capitale keniana, verso il loro obiettivo: il Parlamento, che quel giorno avrebbe approvato definitivamente la legge finanziaria (e gli aumenti delle tasse). All’ora di pranzo, i manifestanti erano oltre 100.000 e il caos iniziava a crescere: alle 14 i primi scontri con la polizia e alle 14:14, quando è stata diffusa la notizia dell’approvazione della legge finanziaria, i parlamentari dell’opposizione sono usciti dal Parlamento e hanno raggiunto la folla, incitandola alla rivolta. In pochi minuti i manifestanti hanno sfondato il cordone di polizia a protezione della strada che costeggia il Parlamento, un camion della polizia abbandonato è stato dato alle fiamme, le recinzioni abbattute e il Parlamento è stato violato, un’incursione di breve durata dispersa dalla polizia.
Contemporaneamente all’irruzione nel Parlamento, gli agenti di polizia sono tornati in forze lungo Parliament Road per respingere i manifestanti. Tutto questo avveniva sotto gli occhi delle telecamere dei giornalisti e di migliaia di telefonini, in diretta su TikTok e Instagram: in uno dei video visionati dal gruppo Osint della Bbc, un agente di polizia in borghese gridava “uaa!”, la parola swahili che significa “uccidere”. Pochi secondi dopo, un agente si è inginocchiato, si sono uditi degli spari e alcuni manifestanti tra la folla sono crollati a terra: sette in totale. Tra loro David Chege, ingegnere informatico e insegnante di scuola domenicale di 39 anni, ed Ericsson Mutisya, macellaio di 25 anni, uccisi a colpi d’arma da fuoco. Altri cinque uomini sono rimasti feriti, uno dei quali è rimasto paralizzato dalla vita in giù.
Mentre non è stato possibile identificare gli agenti che hanno sparato sulla folla, l’agente in borghese che ha urlato “uccidere” è stato identificato dalla Bbc. Si tratta di John Kaboi, funzionario della stazione centrale di Nairobi della polizia.
Quelle morti non hanno funzionato da deterrente. Pochi minuti prima delle 15, quello stesso giorno, i manifestanti hanno abbattuto altre recinzioni e sono entrati nel compound del Parlamento, molti con le mani alzate, quasi tutti con cartelli e bandiere del Kenya. Sono stati sparati colpi di avvertimento; nei video diffusi su TikTok si vede la folla che si abbassa, poi si rialza e riprende a camminare, filmando tutto. Dentro il Parlamento la situazione è degenerata: le porte sono state sfondate a calci, una parte del complesso è stata data alle fiamme e la polizia militare è stata costretta a fuggire dall’edificio. Una devastazione durata, secondo la Bbc, appena cinque minuti. Alle 15:04 la Tv nazionale keniana, in diretta, ha mostrato altri poliziotti sparare sulla folla e altri tre corpi a terra: due feriti, mentre il terzo, Eric Shieni, studente di finanza di 27 anni, è stato ucciso, colpito alla testa da dietro mentre usciva dal compound del Parlamento. Bbc Africa Eye ha analizzato più di 150 immagini scattate nei minuti precedenti e successivi all’attacco a Shieni e ha identificato il soldato (anonimo) che gli ha sparato alla nuca da 25 metri di distanza.
Quella sera il presidente William Ruto ringraziò i suoi ufficiali di sicurezza per la loro “difesa della sovranità della nazione” contro i “criminali organizzati” che avevano “dirottato” le proteste, che durarono anche nei successivi sei giorni: dopo quella settimana di proteste, la Commissione nazionale per i diritti umani del Kenya ha dichiarato che 39 persone erano morte e 361 erano rimaste ferite in tutto il Paese.
Ruto è oggi ancora più lontano e ancora meno apprezzato dai keniani: domenica sera, mentre teneva un comizio nella contea di Migori, al presidente keniano è stata tirata una scarpa. Secondo diversi video condivisi sui social media, il presidente non sembra aver riportato ferite, riuscendo a bloccare la scarpa con il braccio: “Abbiamo detto che ridurremo il prezzo dei fertilizzanti, vero o falso?”, stava chiedendo al pubblico un attimo prima che gli fosse tirata la scarpa. Secondo quanto riportato dal quotidiano The Star, il ministro degli Interni Kipchumba Murkomen ha dichiarato che la polizia ha arrestato tre persone per l’incidente e il governo ha definito “vergognoso” l’episodio.
La tensione, in tutto il Kenya, è palpabile: la scorsa settimana, un parlamentare dell’opposizione è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco, a Nairobi, da uomini armati a bordo di una motocicletta. Questo non fa che aumentare la preoccupazione delle autorità per la sicurezza dei funzionari pubblici, che sono al centro di polemiche per il loro stile di vita sfarzoso a fronte di un’economia che va sempre peggio per le classi medie e basse.