Di Carmen Forlenza – – Centro studi AMIStaDeS APS
Aumentano gli attacchi a fedeli e luoghi sacri delle religioni afrobrasiliane, in un contesto di razzismo strutturale che ha radici nella dominazione portoghese ma trova nuove forme a causa di estremisti dei gruppi neopentecostali.
La Ministra per i diritti umani e la cittadinanza Macaé Maria Evaristo dos Santos lo scorso gennaio ha dichiarato che nel 2024 il Brasile ha registrato un aumento degli episodi di intolleranza religiosa del 70% rispetto all’anno precedente. Le principali vittime di questi attacchi sono i fedeli di religioni di origine africana, come la Umbanda e la Candomblè, culti profondamente radicati nella storia e nell’identità culturale afro-brasiliana.
Queste religioni si sono diffuse tra le persone africane o di origine africana ridotte in schiavitù in Brasile, e hanno mantenuto in vita le loro tradizioni per generazioni, nascondendosi dalle rappresaglie della chiesa cattolica durante l’epoca coloniale. Figure chiave di questi sincretismi sono gli orixà, divinità legate alle forze naturali, contaminate dal culto dei santi, considerato che ogni orixà ha come corrispettivo un santo cristiano. Le cerimonie del Candomblé e dell’Umbanda sono momenti di intensa spiritualità e coinvolgimento collettivo, in cui attraverso canti, danze e suono dei tamburi si produce uno stato di trance tra sacerdoti e sacerdotesse, che invocano gli orixà.
Già dagli anni ’70 e ’80 si sono registrati episodi di attacchi ai templi delle religioni afrobrasiliane, con minacce ai fedeli, saccheggio e distruzione dei luoghi di culto e di preghiera, oltre ai danni a oggetti sacri. Più di recente il fenomeno sta crescendo, con una larga parte dei fedeli che nasconde la propria religione sul luogo di lavoro e anche in famiglia, per paura di ritorsioni. Le aree che registrano più attacchi di questo tipo sono lo stato di San Paolo (con 919 episodi nel 2024, cresciuti del 60% rispetto all’anno precedente) e lo stato di Rio de Janeiro (con 764 denunce).
Secondo studi e testimonianze della linea di denuncia Disque Direitos Humanos e del Ministero per i diritti umani e la cittadinanza, nella maggior parte dei casi i responsabili di questi attacchi appartengono a chiese evangeliche pentecostali e neo-pentecostali. Si tratta di gruppi religiosi spesso caratterizzati da una retorica radicale, che non di rado definiscono le pratiche di Umbanda e Candomblé come “idolatria” da combattere. Alcuni predicatori arrivano a promuovere una vera e propria “crociata spirituale” contro queste religioni, alimentando un clima d’odio che sfocia in episodi di violenza, profanazione di templi, minacce e aggressioni fisiche ai praticanti.
Il movimento neopentecostale crede nella necessità di combattere nel mondo terreno l’azione del diavolo, e si schiera spesso in maniera critica verso altre religioni. Nel caso delle religioni afro-brasiliane, i neopentecostali considerano le loro divinità come manifestazioni del demonio e questa demonizzazione ha dato spazio a discorsi intolleranti anche da parte di leader religiosi influenti, dove questi culti vengono accusati di essere causa di aumento di malattie, problemi sociali, disoccupazione, povertà e conflitti familiari. Gruppi afferenti a questi movimenti sono arrivati anche a chiedere pubblicamente alle autorità la chiusura di templi di religioni afro-brasiliane.
Un esempio di questa ostilità è stata la pubblicazione nel 1997 di un libro da parte del vescovo neopentecostale Edir Macedo — della Chiesa Universale del Regno di Dio in cui accusava le religioni afro-brasiliane di essere “sette demoniache” e l’Africa di essere un continente maledetto. C’è un evidente squilibrio tra le due religioni, mentre la presenza delle chiese evangeliche in Brasile è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, (nel 2021 il numero di evangelici nel Paese era già pari a otto volte il numero presente alla fine degli anni ‘90), i fedeli delle religioni afrobrasiliane sono minoritarie nel Paese, costituendo meno dell’1% della popolazione. Questi ultimi vivono di solito nelle favelas e nelle periferie delle città, mentre le chiese evangeliche crescono rapidamente con fino a 14.000 nuove chiese aperte in un anno e con una presenza anche tra leader politici del Paese.

I sentimenti di ostilità verso le religioni afro-brasiliane nella società contemporanea qui descritti affondano le radici in un passato coloniale segnato da violenza culturale e repressione spirituale. Durante la dominazione portoghese, si consolidò una rigida gerarchia tra culture e fedi, marginalizzando le religioni degli africani schiavizzati. I colonizzatori portoghesi imposero infatti alle popolazioni native, e poi agli africani schiavizzati, il cristianesimo come l’unica vera fede, giudicando le religioni native e africane come primitive e/o demoniache. In questo scenario la Chiesa cattolica arrivò a giustificare il lavoro forzato imposto agli schiavi come un mezzo per salvare le loro anime. In questa logica distorta, la conversione al cristianesimo diventava un obbligo morale e spirituale, imposto con la violenza. Tuttavia, molti schiavi, pur costretti formalmente ad aderire alla religione cattolica, non rinunciarono mai alle proprie credenze originarie, dando vita a sincretismi religiosi.
La libertà religiosa è sancita dall’articolo 5 del capitolo 1 della Costituzione brasiliana. Sono previste pene fino a 5 anni di detenzioni per chi commette crimini legati all’intolleranza religiosa. L’intolleranza religiosa, che si può manifestare sotto forma di violenza verbale e fisica da parte di seguaci di determinate religioni per imporre le loro credenze su altri gruppi, nel caso brasiliano, si associa non solo a un rifiuto delle credenze delle religioni Umbanda e la Candomblè ma associa le loro pratiche a stigmi razziali, per questo è più corretto parlare di razzismo religioso che di intolleranza religiosa.
Secondo il docente di diritto della università di Ribeirão Preto (FDRP) da USP, Márcio Henrique Pereira Ponzilacqua, il razzismo religioso infatti si distingue dall’intolleranza religiosa perché, oltre a limitare la libertà di credo, comporta una discriminazione razziale e strutturale, colpendo in particolare le religioni di matrice africana. Non si tratta di episodi isolati, ma del riflesso di un sistema che perpetua pregiudizi radicati. Questo tipo di razzismo si manifesta attraverso atteggiamenti violenti e discriminatori che emarginano i praticanti di queste religioni dagli spazi pubblici e dalla possibilità di esprimersi liberamente. È spesso alimentato dalla scarsa conoscenza delle culture afro-brasiliane e da una visione sociale che considera “giusto” ciò che si avvicina alla cultura europea, con la spiritualità cristiana vista come norma dominante nella storia del Brasile.
Dal 2017, si celebra ogni anno in Brasile il 28 gennaio la Giornata contro l’intolleranza religiosa, in memoria della Gildásia dos Santos e Santos, conosciuta come Madre Gilda de Ogum, una leader religiosa Candomblé, che subì diffamazioni e violenze, amplificate dal giornale Folha Universal, che la accusava di essere una ciarlatana che danneggiava le persone che si avvicinavano a lei e alla sua religione per denaro.
Questo e altri sforzi però non sono oggi sufficienti per far sentire protetti i fedeli delle religioni di origine africana e si rendono necessarie azioni più decise da parte della politica e della civile per fare luce sul razzismo religioso e gli stereotipi che sono entrati a far parte della società brasiliana, e che lasciano spazio ad abusi e violenze