Sud Sudan sull’orlo del caos: tra milizie, crisi economica e ingerenze internazionali

di claudia

di Enrico Casale

Il Sud Sudan affronta una crisi complessa tra recessione economica, milizie instabili e tensioni con il Sudan.

Una crisi complessa, quella del Sud Sudan, in cui si intrecciano la recessione economica, gli interessi delle milizie locali, le rivalità tra i due principali leader – Salva Kiir e Riek Machar – e l’instabilità del vicino Sudan. Una crisi che potrebbe sfociare in un nuovo conflitto? “Difficile dare una risposta tranchant a questa domanda – osserva Sara De Simone, ricercatrice di Storia dell’Africa all’Università di Trento –. L’arresto di Riek Machar è uno dei segnali che la tensione sta salendo. Un altro è rappresentato dagli scontri nell’Upper Nile, la regione di Machar e la principale area petrolifera del Paese. Qui si sono affrontate le milizie locali – White Army – con le Rapid Support Forces, il gruppo paramilitare che sta combattendo contro l’esercito governativo in Sudan. Questo fa temere un’estensione dei combattimenti dal Sudan anche al Sud Sudan”.

La complessità della situazione è accentuata dal panorama frastagliato delle milizie locali, che si alleano con i leader nazionali in base alle convenienze. “Queste milizie – prosegue – vivono in maniera autonoma e stringono alleanze strumentali. Per mantenere il loro sostegno, il Governo di Juba versa loro cospicue prebende. Tuttavia, in questo momento di grave crisi economica, le risorse scarseggiano, rendendo più difficile comprare la fedeltà dei miliziani. Ciò, ovviamente, alimenta l’instabilità”.

A differenza del vicino Sudan, il Sud Sudan attira meno appetiti internazionali. “La crisi sudsudanese – sottolinea – è stata oscurata, agli occhi degli attori internazionali, occidentali e non solo, dalle guerre in Ucraina, a Gaza e in Sudan. Inoltre, il Sud Sudan aveva ricevuto grande attenzione negli anni dell’indipendenza, ma la sua leadership non è stata in grado – o non ha voluto – mantenere quel sostegno internazionale che sarebbe stato necessario. Tutti auspicavano una transizione pacifica per dare un lieto fine alla lotta che aveva portato alla nascita dello Stato più giovane del mondo. L’accordo di pace firmato nel 2018 era stato fortemente voluto dalla comunità internazionale, ma meno dagli attori coinvolti. Questo ha portato a una transizione lunghissima e spesso interrotta, facendo perdere credibilità alle istituzioni sudsudanesi. Attualmente, i leader del Paese non sono considerati affidabili”.

Salva Kiir e Riek Machar

Il prestito concesso a Juba dagli Emirati Arabi Uniti (13 milioni di dollari in cambio del petrolio) potrebbe segnare l’ingresso di un nuovo attore nella crisi sudsudanese. “Se questo avvicinamento è reale – sottolinea –, potrebbe anche tradursi in una sorta di alleanza con le Rapid Support Forces, che combattono contro il governo sudanese. Ciò rischierebbe di coinvolgere Juba nelle dinamiche della guerra in Sudan, con il Governo di Khartoum che potrebbe a sua volta sostenere le milizie ostili al Governo di Juba”.

Il Sud Sudan è un Paese potenzialmente ricco. Possiede riserve di petrolio, miniere di oro e ettari di terreni fertili e ben irrigati. “Sul petrolio sudsudanese si è speculato molto – spiega –, ma in realtà si tratta di greggio di scarsa qualità. Per questo motivo, i giacimenti hanno attirato pochi investimenti, e non sono stati realizzati oleodotti verso il Kenya. Il Sud Sudan resta quindi dipendente dall’oleodotto che conduce a Port Sudan, con tutte le limitazioni tecniche e politiche che ne derivano. Tuttavia, le terre fertili e l’oro rimangono risorse appetibili, così come il mercato locale, che ha grandi potenzialità considerando che nel Paese non si produce quasi nulla”.

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