Sudan e Rdc guidano il record globale di sfollati interni

di claudia
rifugiati

di Céline Nadler

Secondo un recente rapporto redatto dall’Internal Displacement Monitoring Centre e dal Norwegian Refugee Council, nel 2024 nel mondo si sono registrati più di venti milioni di nuovi sfollati interni legati a conflitti, di cui 9,1 milioni provenienti da due soli Paesi africani: Sudan e Repubblica Democratica del Congo. Numeri che lanciano un preciso monito alla comunità internazionale.

Un numero senza precedenti di 83,4 milioni di persone viveva come sfollato interno alla fine del 2024. Lo afferma il Rapporto globale sugli sfollati interni 2025 (Grid), pubblicato ieri dall’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc) e dal Norwegian Refugee Council (Nrc), con sede a Ginevra. Solo nel corso del 2024 si sono registrati 20,1 milioni di nuovi sfollati interni legati a conflitti, di cui 9,1 milioni provenienti da due soli Paesi africani: Sudan e Repubblica Democratica del Congo (Rdc).

Secondo la direttrice dell’Idmc, Alexandra Bilak, gli sfollamenti interni sono diventati un punto focale di conflitti, povertà e crisi climatica, colpendo per primi i più vulnerabili. A differenza dei rifugiati, che attraversano i confini internazionali, gli sfollati interni fuggono dal proprio luogo d’origine pur restando all’interno del loro Paese.

Per Jan Egeland, direttore dell’Nrc, queste cifre dovrebbero rappresentare un monito urgente alla comunità internazionale affinché rilanci la solidarietà globale.

«Questi dati sono un chiaro monito: senza un’azione coraggiosa e coordinata, il numero di persone sfollate all’interno dei propri Paesi continuerà a crescere rapidamente», ha dichiarato Amy Pope, direttrice generale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). «Il rapporto dell’Idmc è anche un invito ad agire in modo preventivo, a utilizzare dati e altri strumenti per anticipare gli spostamenti prima che si verifichino, e ai settori umanitario e dello sviluppo a collaborare con i governi per sviluppare soluzioni a lungo termine», ha aggiunto.

Il totale di 83,4 milioni di sfollati interni registrati alla fine del 2024 rappresenta un aumento di 7,5 milioni rispetto alla cifra record di 75,9 milioni del 2023, nonché un incremento del 50% in sei anni. Soprattutto, secondo il rapporto, in quindici anni il numero di Paesi che hanno segnalato sfollati a causa sia di conflitti sia di disastri è triplicato, poiché oltre tre quarti delle persone sfollate per motivi bellici vivono in Paesi fortemente esposti ai cambiamenti climatici.

La violenza e i conflitti sono responsabili di quasi il 90% degli sfollamenti, pari a circa 73,5 milioni di persone, un dato aumentato dell’80% rispetto al 2018.

I disastri sono rimasti una delle principali cause di sfollamento interno anche nel 2024. Lo scorso anno è stato registrato il numero record di 45,8 milioni di nuovi sfollati a causa di calamità naturali, quasi il doppio rispetto alla media annuale dell’ultimo decennio. Sebbene la maggior parte delle persone sia riuscita a fare ritorno a casa nel corso dell’anno, alla fine del 2024 almeno 9,8 milioni risultavano ancora sfollate per effetto di disastri naturali: un numero raddoppiato in cinque anni. Solo negli Stati Uniti si sono registrati 11 milioni di sfollati a causa di calamità naturali, in particolare per gli uragani Helene e Milton. Questi eventi hanno innescato evacuazioni di massa e rappresentano quasi un quarto del totale mondiale di sfollamenti di questo tipo.

In totale, 29 Paesi e territori hanno segnalato il numero più alto mai registrato di sfollati per calamità naturali. I cicloni hanno rappresentato il 54% del totale. Con l’aumento della frequenza, durata e intensità degli eventi meteorologici estremi, si prevede che questi numeri continueranno a crescere.

Il Sudan detiene ora il primato con 11,6 milioni di sfollati interni, il numero più alto mai registrato in un singolo Paese. Anche la Striscia di Gaza risultava quasi interamente sfollata entro la fine del 2024, già prima della nuova massiccia ondata di sfollamenti innescata dalla ripresa dei bombardamenti israeliani del 18 marzo, successiva a una tregua di due mesi.

Il rapporto evidenzia infine che le cause e le conseguenze degli sfollamenti interni sono spesso interconnesse, rendendo le situazioni più complesse ed esasperando la precarietà delle persone colpite. La crisi si verifica in un momento in cui le risorse umanitarie sono sottoposte a forti pressioni, anche a causa del congelamento della maggior parte degli aiuti deciso dall’amministrazione statunitense, che ha comportato significativi tagli al bilancio. Gli sfollati interni, spesso meno visibili dei rifugiati, sono tra i più trascurati. 

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