di Céline Camoin
Il nuovo rapporto di Amnesty International denuncia un anno segnato da conflitti armati devastanti, violenze sessuali e di genere, repressione dei diritti fondamentali e disastri ambientali, mentre la comunità internazionale continua a voltarsi dall’altra parte.
I conflitti armati in Africa hanno continuato a causare incessanti sofferenze alle popolazioni civili, esponendole sempre più frequentemente a violenze sessuali e di genere — spesso con esiti mortali — tuttavia, le reazioni internazionali e regionali sono rimaste crudelmente insufficienti. “I civili si sono sentiti dimenticati”, afferma il rapporto annuale 2024/2025 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo, nella sezione dedicata all’Africa.
La crisi del costo della vita si è aggravata, alimentata dall’aumento vertiginoso dei prezzi dei prodotti alimentari, del carburante e di altri beni di prima necessità. Le elevate tariffe fiscali, i debiti pubblici insostenibili, la corruzione diffusa, i conflitti incontrollati e gli eventi meteorologici estremi hanno ulteriormente accentuato questa situazione.
Troppo spesso le manifestazioni sono state disperse violentemente, causando numerose vittime. Gli attacchi ai diritti alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione sono rimasti endemici. Tra i metodi repressivi utilizzati dagli Stati si sono registrati sparizioni forzate, arresti e detenzioni arbitrarie di oppositori politici, difensori dei diritti umani, attivisti, giornalisti e critici delle autorità.
Conflitti e cambiamento climatico hanno continuato a essere le principali cause di spostamenti forzati. Il Sudan è rimasto teatro della più grave crisi di sfollamento al mondo. La discriminazione e la violenza di genere, alimentate da norme sociali consolidate, hanno continuato a colpire quotidianamente donne e ragazze.
I Paesi ad alto reddito — responsabili in misura maggiore del cambiamento climatico — non hanno reso disponibili fondi sufficienti per compensare le perdite e i danni subiti dalle popolazioni colpite, né per finanziare adeguate misure di adattamento. Anche quest’anno, dunque, le popolazioni africane hanno pagato il prezzo più alto per le siccità prolungate, le inondazioni ricorrenti, le tempeste e il caldo estremo, probabilmente aggravati dal cambiamento climatico.

La cultura dell’impunità ha continuato a incoraggiare gli autori di crimini di diritto internazionale e di gravi violazioni dei diritti umani. Attacchi illegali e uccisioni da parte delle forze governative e dei gruppi armati sono stati segnalati in Burkina Faso, Camerun, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo (Rdc), Somalia, Sudan e Sudan del Sud.
Le operazioni delle forze governative hanno spesso causato vittime civili. In Burkina Faso, si ritiene che l’esercito abbia ucciso almeno 223 civili, tra cui almeno 56 bambini, nei villaggi di Soro e Nodin a febbraio. Inoltre, centinaia di civili sarebbero stati uccisi a maggio durante un’operazione di rifornimento nelle città assediate nella parte orientale del Paese. In Etiopia, a seguito degli scontri armati di gennaio a Merawi (regione di Amhara) tra forze governative e milizie, molti civili sono stati arrestati nelle loro abitazioni, nei negozi e per strada, e successivamente giustiziati.
In diversi conflitti, attacchi aerei o con droni lanciati dalle forze governative hanno provocato vittime civili, come in Mali, in Niger, in Nigeria e in Somalia. I gruppi armati hanno perpetrato alcuni degli attacchi più mortali contro la popolazione civile. È il caso del Burkina Faso, della Repubblica Democratica del Congo, del Mali e del Sudan.

La violenza sessuale è stata ampiamente utilizzata come arma di guerra nei conflitti armati. In Sudan, la violenza sessuale commessa contro donne e ragazze è stata particolarmente grave, con numerose testimonianze di stupri di gruppo e rapimenti. Anche nella Repubblica Democratica del Congo, la violenza sessuale legata ai conflitti è rimasta a livelli allarmanti.
Amnesty denuncia che la tortura e altri maltrattamenti sono rimasti diffusi e sistematici. In molti Paesi africani, le persone detenute — compresi difensori dei diritti umani, oppositori politici e manifestanti pacifici — hanno subito torture per estorcere confessioni o punire il dissenso. Le condizioni carcerarie sono state in larga parte disumane e degradanti, caratterizzate da sovraffollamento estremo, mancanza di cure mediche adeguate, carenza di cibo e acqua potabile, nonché da gravi abusi fisici.
Secondo il rapporto, in molti Paesi africani i governi hanno intensificato la repressione della libertà di espressione e di associazione. Giornalisti, attivisti della società civile e membri dell’opposizione politica sono stati sottoposti a intimidazioni, arresti arbitrari e, in alcuni casi, omicidi mirati. I Paesi in cui sono state registrate violenze ai danni di giornalisti sono, tra gli altri, Angola, Guinea, Kenya, Lesotho, Nigeria, Tanzania, Ciad, Togo e Zimbabwe.
L’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza è rimasto diffuso. Sono stati segnalati omicidi e arresti di massa di manifestanti in diversi Paesi, tra cui Guinea, Kenya, Mozambico, Nigeria e Senegal.

Nel contesto dei conflitti armati, centinaia di scuole situate in aree di conflitto sono state distrutte durante gli attacchi oppure sono diventate rifugi per le persone sfollate. In Sudan, più di 17 milioni di bambini risultavano ancora fuori dal sistema scolastico e, secondo Save the Children, a maggio 2024 il numero di attacchi alle scuole era quadruplicato rispetto all’inizio del conflitto dell’aprile 2023. In Africa occidentale e centrale, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef) ha riferito che a settembre oltre 14.000 scuole erano chiuse a causa dei conflitti, coinvolgendo circa 2,8 milioni di bambini. In Burkina Faso, a marzo, 5.319 scuole hanno chiuso i battenti a causa delle violenze, interessando quasi un milione di studenti.
Anche quest’anno gli Stati non hanno mantenuto l’impegno assunto nella Dichiarazione di Abuja (2001), che prevedeva l’assegnazione del 15% del bilancio nazionale alla sanità. In media, i Paesi africani hanno dedicato solo il 7,4% dei loro bilanci al settore sanitario, causando gravi carenze nei sistemi pubblici di assistenza. In Kenya, l’adozione di un nuovo sistema di assicurazione sanitaria nazionale ha complicato l’accesso alle cure per molti cittadini. Tuttavia, si registrano anche progressi: il Ghana ha ampliato la campagna di vaccinazione contro la malaria e il Niger ha annunciato una riduzione del 50% dei costi per le cure mediche, gli esami di laboratorio e diagnostici, nonché l’eliminazione dei costi residui per il parto e la dialisi negli ospedali pubblici.
Migliaia di persone sono rimaste senza casa e in condizioni di indigenza a causa di sfratti forzati in diversi Paesi, tra cui Repubblica del Congo, Costa d’Avorio e Kenya. In Congo, gli abitanti di Mpili (dipartimento di Kouilou) sono stati sgomberati per far spazio ad attività estrattive di potassio promosse da una compagnia cinese. In Kenya, durante le piogge torrenziali e le inondazioni, le autorità hanno demolito le abitazioni di almeno 6.000 famiglie nei quartieri di Mathare e Mukuru Kwa Njenga, a Nairobi.