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Edizione del 04/06/2025

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Rivista Africa
La rivista del continente vero
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nilo

    sud sudan
    CONTINENTE VERO

    La resistenza dei mandriani del Sud Sudan

    di claudia 2 Marzo 2025
    Scritto da claudia

    di Alberto Salza – foto di Tariq Zaidi

    Nella paludosa piana di esondazione del Nilo Bianco, il Sudd, vasto due volte la Val Padana alla sua massima estensione, si muovono i Mundari del Sud Sudan. Popolo di allevatori il cui ecosistema culturale ha nel bestiame e nelle acque del grande fiume i poli principali. Che ne sarà domani, con la crescente pressione demografica lungo tutto il corso del Nilo?

    Siete in grado di pensare come un fiume che tutti gli anni isola una collina nel bel mezzo di una prateria allagata? O come una vacca dalle corna lunate che, nella collina, trova pascolo e rifugio? O di trattare con un boschetto di papiri alti sei metri, in cui danzano mosche e zanzare? Se così fosse, allora siete un pastore mundari del Sud Sudan, intento a negoziare con tutto il suo ambiente vitale: il Sudd, la barriera per gli “arabi” del nord.
    Il Sudd è la piana di esondazione del Bahr el Jebel (Nilo Bianco), un polmone che respira acqua, passando da una superficie di circa 90.000 km2 nella piena al 50% dopo il deflusso. È un paesaggio dalla logica vaga: acqua e terra si mescolano; la copertura vegetale è più alta di un uomo; il fondo su cui si cammina talvolta è solido e sovente è semiliquido; il terreno è così piatto che i pochi alberi e qualche collina isolata disturbano la percezione di distanze e posizione nello spazio-tempo.
    Il Sudd è bello di notte: credo che, visto dall’alto, appaia come un buco nero, dove le stelle sono i fuochi degli insediamenti dei Mundari e delle loro vacche. A ben guardare, è la prossemica delle vacche a definire l’accampamento mundari (käjï), non quella dei pastori: ciò che conta sono la geometrica distanza di una mucca dall’altra, la disposizione gerarchica, la formazione di sicurezza. Uomini, donne e bambini occupano gli spazi lasciati liberi. Il tutto sembra un disciplinato accampamento di vacche con qualche Mundari qua e là.

    Di vacche e di zanzare

    Circa centomila Mundari vivono dalle parti di Terekeka, a nord di Juba. Parlano il kir (anche chir o shir), una lingua tonale imparentata con il bari (nilotico orientale). Vacche e Mundari sembrano selezionati dal Sudd: sono entrambi alti e snelli per allargare l’orizzonte (un bue di razza Ankole-Watusi supera i due metri e mezzo alle corna, mentre la statura media di un pastore sarebbe utile nel basket); nel tempo, le vacche sono state selezionate bianche per riflettere la radiazione solare, e le persone si schiariscono i capelli con l’orina, forse per la medesima ragione. Pare che le enormi corna cave servano a sostenere la testa del bestiame fuori dall’acqua di piena o a favorire lo scambio termico sotto il sole rovente. Ma conta anche la bellezza: guardando un Mundari che danza muovendo le braccia in alto per imitare la forma delle corna del bue favorito, pensate al cavallo bianco di Napoleone e ai capelli dirty pillow blond di Marylin Monroe (definizione sua), una bruna naturale che ha dovuto usare una sorta di ammoniaca per diventare famosa.

    Che le vacche, in quanto capitale mobile (la parola capitale deriva da “capo di bestiame”), valore sociale (status e dote matrimoniale), e produttrici alimentari (latte e sangue, raramente carne) siano l’universo fisico e culturale dei Mundari è indubbio, ma l’uso delle deiezioni bovine come talco antizanzara ottenuto dalle feci bruciate deve sfuggire al nostro ossessivo funzionalismo: si tratta piuttosto di commistione psicoattiva. L’entanglement, la non separabilità con gli elementi ambientali del Sudd, costituisce la strategia di sopravvivenza dei Mundari, dà loro forma, si potrebbe dire. A inizio del 1863, l’esploratore Samuel Baker annotò: «Qui gli indigeni sono così emaciati da avere il sedere piatto, e gambe e braccia così lunghe e sottili da dar loro l’aspetto di zanzare». Oggi tutti i Mundari hanno la zanzariera, ma la relazione con le mucche è ancora forte. Rispondete a questo indovinello: «È bianca. La puoi legare, ma non mungere». È la zanzariera, che qui viene apparentata al bestiame.

    L’importanza del pesce

    Nel Sudd, come le zanzare e le vacche, il Nilo è un membro della comunità: per gli Egizi era Hapi, un dio antropomorfo i cui segni distintivi erano le piante acquatiche e le forme opime. Per i Mundari, il Nilo è un’entità viva e partecipante che si manifesta con l’esondazione, non con le piogge. Esiste infatti un effetto ritardo, anche di mesi, tra le precipitazioni a monte, oltre il Lago Vittoria, e l’arrivo delle acque nel Sudd. Qui la stagione piovosa va da aprile a ottobre, seguita dalla stagione secca da novembre a gennaio. Febbraio e marzo sono un intermezzo dedicato essenzialmente alla pesca, che finisce con l’arrivo dell’esondazione.
    I Mundari usano gli arpioni da canoe monoxile, a dimostrazione che qui la pesca deriva dalla caccia, anche se oggi si sono diffuse le reti. L’integrazione proteica del pescato è importante, dato che il bestiame è così simbolico da ridurre il consumo di carne quasi a zero. Quando lavoravo in Sud Sudan, mangiavo quasi sempre pesce e legumi. L’acquisto al mercato, però, era straniante: l’anziana venditrice, con soli due denti e un cappellino nero di maglia, con su ricamati teschio e tibie incrociate da pirata, forniva siluridi (31 specie nel Sudd) dalla testa di serpente e la coda da dinosauro che parevano usciti da un libro sui mutanti: buoni.

    Foto di Tariq Zaidi

    Il ciclo dei mesi

    Nel Sud, anche il tempo, il dio Crono, è scandito dal livello dell’acqua. I Mundari sono costretti ad abitare in villaggi sulle collinette emerse, dove praticano l’orticoltura, onde proteggersi da inondazioni e zanzare; poi la siccità li obbliga ad abbandonare i villaggi e a muoversi in cerca di pascolo e acqua utilizzando accampamenti temporanei. In tale periodo i giovani si spostano in piccoli gruppi, frazionando le mandrie, ma con il procedere della stagione secca gli accampamenti e il bestiame si agglutinano nei pressi dell’acqua permanente, dove restano fino al ciclico ritorno ai villaggi sulle collinette. Partendo dall’esaurimento della piena (attorno a gennaio), i mesi sono indicati dagli abitanti stanziali dei villaggi con i seguenti nomi.
    “Pozze” nei fiumi in via di inaridimento; periodo in cui si raccolgono le erbe nelle aree semi-inondate permanentemente.
    “Vasta terra soffice”, quando si prepara l’orto mentre crescono le foglie sugli alberi (periodo percepito come l’inizio dell’anno solare).
    “Piccola terra soffice”, quando si completano le attività agricole.
    “Narratore di menzogne”, dato che il tempo è incerto e non si sa quando pioverà.
    “Inondazione” vede l’arrivo della piena (un mitico diluvio universale).
    “Sole rovente”, con la prima fase acuta della monta delle acque.
    “Grande fame”, quando il cibo si fa scarso poiché i raccolti non sono maturi e le riserve scarseggiano.
    “Piccola fame” innesca la speranza che nel mese seguente (circa settembre) si possano raccogliere sorgo e ortaggi, ma le vacche sono assenti dai villaggi.
    “Pronto”, ovvio riferimento al raccolto maturo e ai semi commestibili delle erbe selvatiche che si possono cogliere mentre l’acqua comincia a scemare.
    “Migrazione della selvaggina”, termine che ricorda il passato dei Mundari come cacciatori nell’acqua bassa.
    “Fine”, il momento in cui termina l’esondazione e si aprono al pascolo le paludi.
    “Ben legato”, con riferimento alla raccolta di pali e fascine per le capanne nelle aree asciutte.
    I movimenti del bestiame sono in funzione dell’erba (fattore limitante), controllati al contempo da clima e risposte ecosistemiche. Le prime piogge sono la “stagione grassa” per le vacche, dato che l’erba germina ed è proteica; man mano che aumentano le precipitazioni, l’accesso al pascolo si fa difficoltoso e le mandrie si avvicinano agli insediamenti semipermanenti; i nutrienti scarseggiano, data la pressione di densità del bestiame per unità di territorio (inondazione progressiva).

    Foto di Tariq Zaidi

    Un miliardo sul Nilo

    Nonostante la diplomazia ambientale, i Mundari non sono propriamente un’associazione protezionista. Ancora negli anni Settanta del secolo scorso era comune la caccia all’elefante, tramite la recisione dei tendini posteriori e l’uccisione con le lance. Il pezzo forte era l’eviscerazione: non credevo che gli intestini di un elefante potessero assumere tali forme grottesche, tra nugoli di mosche e cacciatori vestiti solamente di corpetti in perline colorate, una forma di straordinaria eleganza condivisa dalle donne mundari, oggi praticamente scomparsa dato che la modernità associa la nudità, tipica dei Nilotici, con la selvaggeria. I monili d’avorio sono stati sostituiti dall’Ak-47, un must per i Mundari.
    Nel 2050, lungo il Nilo vivrà oltre un miliardo di persone, quattro volte la popolazione attuale. Sempre che ci sia ancora l’acqua, o che possano permettersi di pagarla. Tutte le persone lungo il Nilo hanno uno specifico diritto, il “principio dell’equo utilizzo dell’acqua”. Deprivati della risorsa che dovrebbe farli perlomeno sopravvivere, gli agro-pastori scateneranno guerre intestine.

    Il Sud Sudan sarà arbitro, giocatore e spettatore in questa contesa. E i Mundari ne saranno vittime. La loro ricchezza è l’acqua, non il petrolio dei miopi governanti locali in guerra tra loro tramite tribalismo e corruzione. Nel 2010, poco prima dell’indipendenza, un futuro ministro del Sud Sudan mi disse: «Se gli “arabi” del nord fanno i furbi, noi piazziamo un paio di sbarramenti e facciamo girare il Nilo entro il Sudd». L’operazione è fattibile, data l’idro-geomorfologia dell’area. Acque perigliose, quelle del Nilo, con cui occorrerà venire a patti.

    Questo articolo è uscito sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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    2 Marzo 2025 0 commentI
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