testo e foto di Vincenzo Montefinese
La mutazione climatica minaccia le oasi marocchine, alle prese con una crisi senza precedenti per le ricorrenti siccità e l’inaridimento del territorio. A farne le spese, le popolazioni del deserto, che per secoli hanno tenuto in vita questo prezioso e fragile ecosistema, un tempo simbolo di resistenza e di prosperità.
Il destino delle oasi marocchine rappresenta una parabola emblematica della crisi ambientale che investe l’Africa intera. Il continente contribuisce solo al 4% delle emissioni globali, ma il riscaldamento globale lo colpisce con una forza sproporzionata: l’aumento delle temperature è doppio rispetto alla media mondiale. Dal 1960 a oggi, in regioni dove sette persone su dieci dipendevano esclusivamente dall’agricoltura si è registrata una perdita del 34% delle coltivazioni. Le proiezioni sono drammatiche: entro il 2060 la temperatura media giornaliera potrebbe aumentare di cinque gradi, sconvolgendo ecosistemi già fragili e riducendo ulteriormente la disponibilità di risorse naturali. Il Marocco è tra i Paesi africani che stanno pagando il prezzo più alto del processo di inaridimento dovuto all’andamento sempre più imprevedibile delle precipitazioni, con lunghi periodi di siccità intervallati da alluvioni devastanti.
In particolare, stanno rapidamente scomparendo le oasi marocchine, un tempo simbolo di orgoglio per la loro estensione e ricchezza naturale. Disidratate, devastate dagli incendi e gradualmente abbandonate, sono gravemente minacciate tanto dai fenomeni climatici quanto dalle attività umane. Coprendo il 15% del territorio nazionale e ospitando circa due milioni di persone, le oasi hanno perso due terzi della loro superficie negli ultimi cento anni, secondo dati del ministero dell’Agricoltura. Il numero di palme da dattero, risorsa fondamentale per l’economia e l’ecosistema, è crollato da 15 milioni a sei.

Pozzi sempre più profondi
L’impatto del cambiamento climatico è evidente nella Valle del Draa, nel sud-est del Paese, dove l’omonimo fiume – il più lungo del Marocco, con le sorgenti sulle vette dell’Alto Atlante – che un tempo alimentava la regione scorre sempre meno frequentemente. La costruzione di dighe e l’uso intensivo delle risorse idriche per scopi agricoli o industriali hanno ulteriormente aggravato la situazione, compromettendo la sopravvivenza delle oasi. Negli ultimi anni il paesaggio si è trasformato drammaticamente: i ponti sul Draa collegano oggi solo le sponde di un letto arido, mentre vaste aree verdi sono scomparse.
Il calo delle precipitazioni e l’innalzamento delle temperature hanno stravolto l’equilibrio idrico delle oasi. Il sistema dei khattara, antichi tunnel sotterranei che per secoli hanno convogliato l’acqua dalle falde acquifere verso i campi, è ormai insufficiente per far fronte alla crescente siccità. Il bisogno di scavare pozzi più profondi ha provocato un aumento della salinità dei suoli, rendendo infertili molti terreni agricoli. In assenza di piogge regolari, il rischio è che la desertificazione inghiotta definitivamente le poche aree verdi rimaste. Le comunità locali cercano di adattarsi come possono. Alcuni agricoltori stanno sperimentando tecniche innovative, come la raccolta dell’acqua piovana e l’uso di materiali naturali per creare sistemi di micro-irrigazione. Nel tentativo di sostenere l’economia locale, alcuni hanno cercato di sviluppare il turismo nelle oasi, trasformando antiche casba e caravanserragli in strutture ricettive. Tuttavia, senza una gestione sostenibile delle risorse idriche, il turismo rischia di contribuire a sua volta alla pressione sull’ambiente, aumentando il consumo d’acqua in una regione dove l’accesso a questa risorsa è sempre più limitato.
A ben guardare, tutte queste soluzioni locali non bastano a frenare l’avanzata del deserto. Richiedono un supporto più strutturato da parte delle autorità centrali. In risposta alla crisi, il governo di Rabat ha avviato una serie di progetti per la gestione sostenibile delle risorse idriche. Tra questi, il “Piano Verde” prevede il rimboschimento di aree desertiche e la costruzione di nuove infrastrutture per la raccolta e il trattamento delle acque. Ma gli effetti di queste iniziative sono ancora limitati e spesso si scontrano con le lentezze burocratiche e la mancanza di fondi. Le organizzazioni internazionali, come la Banca mondiale e le Nazioni Unite, hanno avviato programmi di sostegno per rafforzare la resilienza delle oasi, i quali comprendono l’introduzione di colture più resistenti alla siccità e la promozione di pratiche agricole sostenibili che riducano la dipendenza dalle risorse idriche. Anche in questo caso, risposte e risorse messe in campo appaiono insufficienti di fronte alla gravità del momento.

Incendi e migrazioni forzate
A rischio non è solo l’ecosistema naturale, ma anche il patrimonio culturale delle comunità che abitano queste regioni. Gli Ait Atta, tribù amazigh (“berbera”) che vive tra l’Alto Atlante e lo Jbel Saghro, stanno abbandonando il loro stile di vita tradizionale basato sulla transumanza, a causa della siccità che rende sempre più difficile trovare foraggio per il bestiame. Il drastico declino delle risorse naturali li costringe a stabilirsi in aree urbane, dove il passaggio a un’economia monetaria comporta anche la perdita delle tradizioni ancestrali. La migrazione verso i centri abitati ha creato nuove pressioni, accentuando il divario tra aree rurali e urbane, e accelerando la scomparsa del patrimonio culturale degli Ait Atta, che rischiano di dissolversi. La crescente urbanizzazione delle comunità nomadi ha generato problemi di accesso ai servizi e aumentato la competizione per l’uso delle risorse idriche. Senza iniziative concrete per sostenere la resilienza delle oasi e mitigare gli effetti del cambiamento climatico, il rischio è che il loro antico modo di vivere svanisca nel giro di pochi decenni.

Oltre che dai cambiamenti climatici, le oasi sono minacciate dalle attività umane. L’abbandono progressivo delle terre coltivate ha lasciato spazio agli incendi, che devastano vaste aree di palmeti e campi agricoli, favorendo ulteriormente l’avanzata del deserto. Recentemente, il sud-est del Marocco è stato colpito da una serie di incendi devastanti che hanno ulteriormente compromesso il già fragile territorio. Le fiamme, alimentate dalla siccità e dal vento caldo proveniente dal Sahara, hanno distrutto ettari ed ettari di zone verdi, aggravando una situazione ecologica ed economica già critica. Le famiglie colpite hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni, cercando rifugio in città più grandi dove le condizioni di vita non sono sempre migliori. Tale scenario di crisi climatica e di migrazioni forzate solleva interrogativi sul futuro delle oasi e sulla capacità del Marocco di affrontare una sfida epocale. La perdita di biodiversità e il declino delle comunità tradizionali rappresentano un rischio per l’intero Paese, che vede sgretolarsi uno dei suoi tesori più preziosi.
Questo articolo è uscito sul numero di 1/2025 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.