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Edizione del 27/07/2025

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Rivista Africa
La rivista del continente vero
Tag:

rd congo

    CONTINENTE VERO

    Tra Mozambico e Malawi può capitare di incontrare i Nyau, messaggeri dell’aldilà

    di AFRICA 21 Maggio 2018
    Scritto da AFRICA

    I membri della società segreta Nyau parlano con gli spiriti degli antenati, frequentano i cimiteri e conoscono i misteri della morte. Si materializzano, seminudi e coperti di cenere, con maschere dai poteri soprannaturali  

    In Africa, le popolazioni di agricoltori, al contrario dei pastori, considerano l’esibizione del corpo nudo come disdicevole: infatti la nudità appartiene al mondo dei bambini, non ancora esseri umani, o al regno dei morti. Chi si trovasse a passare nella regione di Tete, tra Mozambico e Malawi, rimarrebbe pertanto stupito nel vedere un uomo a malapena coperto di brandelli di tela, col corpo tinto di cenere e caolino, che tiene in testa una pila di luridi stracci.

    Gli abitanti locali, di popolazione chewa, sono drastici, al riguardo. «È un Nyau Akakairo, di quelli cattivi e violenti», direbbero. La polizia locale ha ricevuto numerose denunce di attacchi e pestaggi da parte di individui simili, ma la cosa va ben oltre le faccende terrene: «Non vedi? Mostra il corpo nudo, bianco come la morte!».

    Misteri assoluti

    Tra Congo, Zambia, Malawi e Mozambico, nyau è una parola polisemantica: significa al contempo “iniziazione”, “maschera”, “società segreta”, “narrazione cosmologica”, tutti termini che coinvolgono gli antenati e sono, di conseguenza, pericolosi. In una caverna del Congo orientale si può vedere una pittura rupestre, databile al 1000 d.C., che illustra Kasiya Maliro, una maschera riconoscibile come nyau. Il culto pare quindi iniziare in foresta per poi diffondersi, attraverso la regione dei Luba, verso le savane del sudest.

    In essenza, il Nyau è una società segreta maschile (con rituali connessi) diffusa tra la popolazione a lingua bantu nota come Chewa, parente dei Bemba, originaria del Congo e migrata fino a raggiungere, attorno al 1500, un certo potere nella zona attorno al Lago Malawi. I Chewa ebbero contatti con i portoghesi fin dagli inizi del XVII secolo; il che spiega le numerose contaminazioni presenti nelle maschere nyau, mentre il segreto assoluto che circonda protagonisti e cerimoniali, pena la morte, chiarisce l’ignoranza di missionari e amministratori coloniali, fatto che ha consentito il permanere del rito fino ai giorni nostri.

    Il mito della morte

    Le società segrete dell’aldilà africano sono equivalenti alle società a responsabilità limitata della nostra supposta civiltà: non si basano su cose o persone fisiche, ma su miti collettivi, come i marchi di fabbrica; in tal modo evitano che eventuali colpe ricadano sui singoli individui (appartenenti al mondo concreto), stornandole verso i protagonisti dell’immateriale, un territorio virtuale dove valgono regole a logiche misteriose.

    La società nyau è costituita da una confraternita di soli maschi, iniziati alle pratiche rituali al momento dell’adolescenza, talvolta anticipata ai dieci anni di età. Il periodo di passaggio dura oggi una settimana (ma nel passato le prove assai dure per essere accettati prendevano molto più tempo); comincia con una permanenza in un bosco sacro, e si sviluppa entro i cimiteri. Infatti, come molti africani, i Chewa ritengono che la vita terrena sia una fase intermedia tra i morti e i non nati; noi siamo i “non morti”, e lo scopo della vita è quello di diventare un buon antenato. Dato che si opera nella cosmologia, tra i segreti della vita e della morte, ciò che viene rivelato e quello che subiscono gli iniziati non è dato di conoscere a nessun altro. Ai tentativi di intervista, i danzatori nyau rispondono: «Attento: se giochi col fuoco finirai per scottarti».

    Irriconoscibili

    Il Nyau si esprime pubblicamente attraverso complesse danze di adepti mascherati. Il termine stesso coinvolge tutti gli aspetti materiali (costumi, maschere, oggetti rituali) e immateriali (linguaggio in codice, metafore, indovinelli, simboli, canti) presenti nella danza. Il ritmo, appropriato per ogni personaggio mascherato e sostenuto da sonagli policromi alle caviglie, è intenso, quasi violento: serve a confondere i sensi e intimorire l’animo. Donne e bambini fuggono in casa quando appaiono i nyau, maschi misteriosi che segnalano la presenza dei morti e parlano con loro; dal momento che gli spiriti mascherati godono dell’impunibilità data dall’anonimato, in passato si sono avuti incidenti gravi, fino alla morte di alcuni astanti.

    Il problema di fondo, per chi pratica il nyau, è non essere riconoscibile: la finzione collettiva è alla base di ogni mito ritualizzato. Ci si copre con piume di gallina, stoffe, stracci, pitture corporee bianche e rosse; con intricati passi strascicati, il danzatore solleva un gran polverone; si crea così una cortina opaca che impedisce di mettere a fuoco i particolari delle figure. Anche le donne anziane, iniziate parzialmente ai misteri in quanto debbono partecipare ai funerali, negheranno di riconoscere gli uomini mascherati. «Questi sono spiriti veri», testimonia un’anziana di Zumbo, in Mozambico. «Tra di loro non si può vedere un marito o un parente».

    Elefanti e antilopi

    I nyau possono agire con alcune centinaia di maschere diverse, dall’elefante all’elicottero (un elemento di morte rimasto impresso nell’immaginario durante la guerra di liberazione dai colonialisti portoghesi), dalla stupidaggine alla malattia. Le maschere sono in legno o di paglia. Possono essere suddivise in tre grossolane categorie: la prima è una maschera di rete ricoperta di piume; la seconda è di legno; la terza è una grande struttura zoomorfa in vimini che ricopre completamente il danzatore (talvolta sono necessarie più persone per muoverla). Nei primi due casi, l’affiliato è completamente ricoperto da un costume, guanti compresi, oppure ha il corpo nudo alterato dalla tintura.

    Così come quelle che rappresentano gli antenati, le maschere degli animali selvatici sono temutissime, in quanto i Chewa credono che essi appaiano al momento della morte. L’elefante Njobvu richiede quattro danzatori e appare solo ai funerali dei capi; il serpente Ndondo è mosso da dodici persone e rappresenta il più importante antenato della confraternita nyau; il leone Makanja è lo spirito di un antenato cattivo, e va sfuggito per non essere costretti a mancargli di rispetto; l’antilope, alta tre metri e ricoperta di tutoli di mais, è considerata lo spirito più bello e viene detto Kasiyamaliro (“lasciarsi il funerale alle spalle”, con un sospiro di sollievo).

    Preghiere agli antenati

    Per i Chewa, il rituale più importante in cui appaiono le maschere è Gule Wamkulu, la Grande Danza (definita anche “grande preghiera agli antenati”), cui tutti partecipano scandendo il ritmo con le mani, cantando, recitando, scherzando, rispondendo e interagendo, con cautela e rispetto, con le maschere. Nel 2005, l’Unesco ha dichiarato Gule Wamkulu un capolavoro del capitale immateriale dell’umanità. Non tutti i moderni mozambicani la pensano così: il fatto stesso che i danzatori si coprano il volto viene localmente considerato come un incantesimo o una stregoneria. Se qualcuno è sospettato di appartenere al Nyau, perde il rispetto della comunità.

    Damião Gerente Coelho, nativo della provincia di Tete, ricorda il Gule Wamkulu della sua lontana infanzia come «la danza dei misteri». Oggigiorno, la cerimonia può avvenire in qualsiasi luogo e momento (perfino in occasione della visita di turisti), ma le prove avvengono sempre nei cimiteri: al tramonto, all’alba e al sorgere del sole. La stregoneria sta attraversando un momento di revival, in Africa; a quanto pare, i Nyau vengono sempre più coinvolti in pratiche di confine tra il bene e il male. Secondo Coelho, «i loro canti sono gli stessi degli stregoni. Non sono piacevoli. Sono sortilegi. Invocano sì gli antenati, ma con parole inudibili e imperfette». C’è un ulteriore segreto. «Prima della danza – ridacchia Coelho – i nyau si ritirano nei cimiteri per compiacere gli antenati morti. Per via della fantasia, dell’illusione, dicono. Eh già, lì si fumano di tutto. È quello il pane quotidiano di Gule Wamkulu».

    (testo di Alberto Salza – Foto di Vlad Sokhin/Panos Pictures/LUZ)

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    21 Maggio 2018 0 commentI
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