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    MIGRAZIONI e DIASPORE

    “Sea Watch 3”: cronaca di un atto di coraggio

    di Stefania Ragusa 3 Novembre 2019
    Scritto da Stefania Ragusa

    Standing ovation per la prima nazionale del documentario Sea Watch 3 che ha aperto ieri, 2 novembre, al teatro La Compagnia, la 60° edizione del Festival dei Popoli a Firenze alla presenza dei registi Nadia Kailouli e Jonas Schreijäg e del medico-volontaria Valeria Alice Colombo.

    Il direttore della manifestazione Alberto Lastrucci nei giorni scorsi lo aveva introdotto dichiarando che “Non è un documentario su Carola Rackete. Si tratta invece di un documentario corale che, con attenzione cinematografica, documenta le vicissitudini di bordo, dando spazio e voce ai profughi, al personale di bordo e, evidentemente, a chi in quel momento era al comando, vale a dire la capitana Rackete.”

    È qualcosa di più. È l’atto di coraggio di un gruppo di ragazze e ragazzi che rendendosi disponibili ad affrontare dei salvataggi in mare si sono esposti personalmente, loro malgrado. Ben coscienti di essere l’unica imbarcazione di una ONG, in quei giorni, nelle acque dello stretto di Sicilia, non si sono fatti scoraggiare e hanno proceduto ugualmente. Doveva essere solo un viaggio per un salvataggio di routine e si sono trovati nel mezzo di una questione internazionale.

    Lo scopo della missione viene immediatamente reso chiaro dalla Capitana: portare tutti, naufraghi ed equipaggio in un Paese sicuro. Ovviamente il primo porto sicuro è Lampedusa. Questo proposito verrà mantenuto fermo per tutto il viaggio e visto ciò che a livello internazionale si scatena, trasformerà un buon proposito in un atto di coraggio.

    Il video girato dai due giornalisti è la testimonianza dei fatti così per come sono avvenuti. I registi erano saliti, per loro stessa ammissione, solo per documentare quello che succede in una nave di una ONG durante il salvataggio in mare. Non potevano sapere che sarebbero rimasti a bordo per ben 21 giorni. Da quando l’imbarcazione è salpata fino a quando, il 22 giugno, dopo tre settimane la Capitana ha forzato il blocco ed è entrata nel porto di Lampedusa, per poi essere arrestata. Per tutto questo tempo hanno avuto l’opportunità di vivere in presa diretta la quotidianità, dalla partenza, ai momenti concitati del salvataggio, fino alla lunga ed estenuante trattativa con l’autorità italiane per poter infine portare in salvo i 42 naufraghi (53 inizialmente poi 11 di loro sono stati fatti scendere prima per le loro gravi condizioni di salute).

    Questo inaspettato lungo lasso di tempo ha però permesso di entrare in contatto con i migranti, con la vita dell’equipaggio, nonché con tutti gli impedimenti che politicamente sono stati frapposti all’attracco. Abbiamo le testimonianze dei migranti che raccontano le esperienze che ormai già dovremmo sapere, sui trattamenti disumani e degradanti subiti in Libia ma che nella loro crudezza, ci colgono sempre impreparati. Le loro reazioni di disperazione di fronte all’eventualità di essere rigettati in quell’inferno dove la tortura e lo stupro sono esperienza quotidiana. Si può anche vedere la collaborazione di tutti, equipaggio e passeggeri, nel fare delle attività: ginnastica o corsi d’italiano improvvisati. Se da una parte l’intenzione dichiarata è quella di impiegare il tempo, è costante tra i medici la paura che qualcuno per disperazione si getti in mare. Anche perché fin dall’inizio le autorità dicono alla Capitana che deve riportare i naufraghi in Libia. Non avverrà, come sappiamo, ma è quello che viene ripetuto dalle autorità all’equipaggio per tutto il viaggio.

    Il paladino di questa disumana soluzione sappiamo che è stato il nostro ex Ministro degli Interni, che grazie a questa sua presa di posizione è salito agli “onori” della cronaca mondiale.

    Ma non ne esce bene nessuno in Europa. Paesi dell’UE che non si espongono e inizialmente si rifiutano di dare qualsiasi forma di collaborazione. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si rifiuta di avallare l’attracco. La Sea Watch 3 è lasciata totalmente sola.

    Ed è a questo punto che emerge la figura di Carola Rackete; la forza e la determinazione di questa giovane donna di 31 anni, che è riuscita malgrado tutto a portare naufraghi ed equipaggio in salvo, come aveva promesso. Una situazione difficile che affronta con naturali dubbi e incertezze e con il sostegno degli altri volontari. Determinata certo ma anche molto umile e collaborativa: le soluzioni possibili lei le propone tutte, prima di risolversi che l’unica è forzare il divieto d’attracco, sapendo che la responsabilità le sarebbe caduta addosso. Determinazione, consapevolezza e umanità, questo si trovano di fronte le forze dell’ordine che non riescono a nascondere l’imbarazzo, tanto che uno di loro si augura, di ritornare tutti dalla stessa parte.

    E tutto questo emerge dalla cronaca girata in quelle lunghissime tre settimane. Dove per una volta il coraggio e il buon senso hanno avuto la meglio su questi tempi veramente difficili da capire e vivere. Un coraggio che è giusto sottolineare è umile nella sua determinazione, come a volerci dire che nel nostro piccolo, tanto si può fare.

    Proprio questo 2 novembre, il Governo italiano, con il suo silenzio, ha dato l’assenso al prolungamento dell’accordo di collaborazione Italia-Libia per i prossimi 3 anni.

    Francesca Materozzi

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    3 Novembre 2019 0 commentI
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