di Stefano Pancera
Mentre Meta continua a dominare il panorama digitale africano con Facebook, WhatsApp e Instagram, emergono forti tensioni tra la big tech americana e alcuni governi del continente. Il caso Zuckerberg rivela un nuovo fronte di scontro: quello tra le potenze tecnologiche occidentali e il diritto africano alla sovranità digitale.
Ci sono circa 384 milioni di utenti di social media in Africa (Africa Business novembre 2024) ma il continente non è solo un mercato: è un sistema sociale, con bisogni, diritti e voci che meritano rispetto. Con oltre 3 miliardi di utenti mensili nel pianeta, WhatsApp è l’applicazione di messaggistica più utilizzata in Africa e i più recenti dati di Sensor Tower indicano che gli utenti attivi hanno raggiunto circa 152 milioni nel terzo trimestre 2024, confermando la posizione dominante della piattaforma nel continente.
Secondo Statcounter Global Stats, nel periodo da aprile 2024 ad aprile 2025, Facebook detiene una quota di mercato del 74,6% tra le piattaforme social in Africa, circa 286,5 milioni di utenti africani. Questo dato è ulteriormente corroborato da uno studio di GeoPoll, che ha rilevato che l’82% degli utenti di social media in Ghana, Kenya e Sudafrica utilizza attivamente Facebook, confermando la sua posizione dominante in questi mercati chiave.
Nel periodo da aprile 2024 ad aprile 2025, Instagram detiene una quota di mercato più modesta, ovvero del 9,18% tra le piattaforme social in Africa. Quindi, si stima che Instagram abbia circa 35,3 milioni di utenti in Africa. In questo panorama per Mark Zuckerberg stavolta non si è trattato di un semplice problema di reputazione: le accuse fatte spaziano dalla violazione della privacy alla gestione dei lavoratori.
Due casi emblematici – in Nigeria e Ghana – mettono a nudo le tensioni crescenti tra le big tech occidentali e i governi africani. E lasciano aperta una domanda: chi davvero controlla l’economia digitale del continente?
In Nigeria, Meta è finita nel mirino della Federal Competition and Consumer Protection Commission (FCCPC), che ha imposto a Zuckerberg una multa di 220 milioni di dollari per pratiche ritenute scorrette e discriminatorie. Secondo l’accusa, l’azienda avrebbe trasferito illegalmente dati sensibili degli utenti di WhatsApp a soggetti terzi. A peggiorare la situazione, la Data Protection Commission nigeriana ha riscontrato “pratiche invasive nei confronti dei consumatori”, mentre l’autorità pubblicitaria ha emesso ulteriori sanzioni.

La risposta di Meta non si è fatta attendere. In un documento presentato in tribunale, la società ha minacciato di sospendere i propri servizi in Nigeria per “tutelarsi dalle sanzioni”. Nonostante il ricorso legale, un tribunale di Abuja ha confermato la condanna. Oltre alla maxi-multa, Meta dovrà coprire altri 35.000 dollari in spese legali. E a dire il vero non è neanche la prima volta che la Nigeria sanziona Meta. Solo nell’ultimo anno all’azienda di Zuckerberg sono state comminate sanzioni per un totale di 290 milioni di dollari in violazione di diverse norme che andavano dalle leggi sulla pubblicità a quelle sulla tutela della privacy.
Una mossa che ha irritato le autorità locali: “La minaccia di ritirarsi non assolve Meta dalle sue responsabilità”, ha ribattuto il portavoce della FCCPC, Adamu Abdullahi. Chi ci rimetterebbe davvero, però, sarebbero gli utenti nigeriani. “Una chiusura avrebbe conseguenze devastanti sull’economia digitale nigeriana”, ha dichiarato l’analista Opeyemi Agbaje, CEO di RTC Advisory Services Ltd, una società di consulenza strategica, a Reuters.
Anche in Ghana Mark Zuckerberg è sotto assedio, stavolta da parte dei suoi stessi lavoratori. Alcuni ex moderatori di contenuti, impiegati di Majorel (società esterna che lavora per Meta), hanno intentato causa all’azienda, denunciando danni psicologici dovuti all’esposizione prolungata a contenuti violenti, tra cui immagini di omicidi e abusi su minori.
Una recente inchiesta del Guardian e del Bureau of Investigative Journalism ha documentato condizioni di lavoro estenuanti e salari bassissimi. I dipendenti guadagnerebbero circa 81 euro al mese, con bonus di produttività che raramente superano i 300 euro. “Meta tratta i moderatori come oggetti da usare e gettare, ignorando del tutto il danno alla salute mentale”, ha accusato Martha Dark, direttrice della ONG britannica Foxglove.
Il braccio di ferro tra Meta e alcuni stati africani evidenzia un nodo cruciale: il controllo sul mondo digitale del continente. Tre sono i temi chiave.
- Le piattaforme hanno spesso un peso tale da limitare le azioni dei governi. In molte nazioni africane, i social network sono strumenti di lavoro e comunicazione fondamentali. Quando nel 2021 la Nigeria sospese Twitter per sette mesi, si stima che avrebbe perso circa 250.000 dollari all’ora – secondo un’analisi di NetBlocks di Londra, organizzazione di giornalismo investigativo che si occupa di monitorare la sicurezza web e il controllo esercitato dai governi sulla rete.
- La mancanza di leggi chiare in materia di protezione dei dati e diritti digitali consente alle big tech di operare senza grandi ostacoli. Tuttavia, sentenze come quella contro Meta in Nigeria potrebbero costituire precedenti importanti per la creazione di una regolamentazione africana più solida.
- L’atteggiamento delle grandi aziende americane è percepito da molti come una forma di neocolonialismo tecnologico. La cessione non autorizzata di dati, le condizioni di lavoro degradanti e le minacce economiche ai governi locali alimentano questa visione.
Nel frattempo, mentre Zuckerberg ha qualche problemino, Elon Musk con la sua Starlink il 2 maggio scorso ha ottenuto una licenza per operare anche nella Repubblica Democratica del Congo. Dall’inizio dell’anno, il servizio è stato disponibile in sei nuovi paesi e altri quattro sono stati autorizzati. Elon Musk sarà in grado di mantenere la sua scommessa di coprire quasi i tre quarti del continente entro la fine del 2025?

Il futuro digitale dell’Africa: tra opportunità e rischi
Con una popolazione giovanissima, l’Africa rappresenta il futuro del web. Ma questo futuro non può essere costruito su squilibri e abusi. Le controversie legali che coinvolgono Meta forse sono il campanello d’allarme. Le recenti vertenze legali contro Meta in Nigeria e Ghana non sono episodi isolati, ma segnali di un possibile cambiamento. Per anni, le big tech hanno operato in Africa con un grado di impunità difficile da immaginare altrove.
Quello che sta emergendo, con le sentenze in Nigeria e le denunce dei moderatori ghanesi, è il tentativo di rivendicare un diritto fondamentale: il controllo delle proprie risorse — in questo caso, dati, lavoro e infrastrutture digitali. Non è tanto la tecnologia in sé il problema, ma l’asimmetria con cui viene implementata.
La mancanza di infrastrutture regolatorie robuste e l’enorme dipendenza economica dalle piattaforme digitali hanno reso il continente vulnerabile a un nuovo tipo di dominio: quello algoritmico.
Foto di apertura: Yasuyoshi CHIBA / AFP