di Massimo Cappuccio*
Lo straordinario viaggio di Massimo, Giusy e la loro piccola Sara, avventurosi per scelta, viaggiatori per indole. Da anni esplorano il mondo in autonomia, spesso fuori rotta e lontano dai circuiti turistici: dal Sahara al Tibet, dall’Australia alla Mongolia. Questa volta il destino li ha portati nel sud del Madagascar, dove il mare è l’unica strada e il viaggio diventa vita.
Ci sono viaggi che si pianificano con cura, altri che si inseguono nei sogni. E poi ci sono quelli che ti travolgono, che si svelano giorno dopo giorno, onda dopo onda. In Madagascar abbiamo vissuto un’avventura che ci porteremo dentro per sempre.
Avevamo attraversato il Madagascar via terra, da Antananarivo fino all’estremo sud del paese, passando per gli altipiani centrali, tra villaggi sperduti, riserve naturali e quel che rimane delle foreste primordiali abitate ancora da lemuri e camaleonti. Un itinerario intenso, fatto di strade dissestate, tragitti lenti e incontri sorprendenti. Un viaggio già di per sé significativo, ma anche malinconico nel vedere immense aree disboscate e sapere che il popolo malgascio perde pezzo dopo pezzo il cuore verde della propria isola. Ma fortunatamente resistono ancora grandi aree selvagge del Madagascar, come la costa sud-ovest, ed è li che la nostra bussola puntava.
A Saint Augustin, piccolo villaggio di pescatori affacciato sull’Oceano Indiano, il viaggio ha preso una svolta e la vera avventura ha avuto inizio.

Lì abbiamo incontrato Adexi e Fidel, due giovani pescatori vezo dalla pelle salata e dal sorriso contagioso. Con loro abbiamo deciso – forse per incoscienza, forse per quel bisogno irrefrenabile di metterci in gioco – di salire sulla loro LEGEND’S D’AIR, una tradizionale piroga a vela in legno, lunga meno di sei metri e larga poco più di un braccio. Priva di ogni comfort, stretta, spartana, essenziale. Una follia? Forse. Ma l’idea di solcare quel tratto di mare guidati dal vento e dai saperi antichi di questi marinai ci ha subito conquistati.
L’idea era semplice quanto audace: percorrere oltre 200 chilometri lungo la costa sud-occidentale del Madagascar, da Saint Augustin a Morombè, navigando sempre all’interno della barriera corallina. Otto giorni in mare, con tappe quotidiane di almeno sei o sette ore. Di giorno si navigava seguendo le brezze costiere, di notte ci si accampava dove era possibile, nei villaggi vezo o, quando capitava, in qualche piccolo lodge sulla spiaggia.




A bordo eravamo in cinque: Adexi e Fidel, e noi tre. Stretti tra le assi di legno della piroga, senza alcuna protezione né cabina, seduti su un piccolo pianale di legno e con le gambe tra gli zaini. Esposti al sole e al vento per l’intera giornata, ma anche ad un senso di libertà assoluto. Le prime giornate scorrevano tranquille, con il mare calmo e le acque turchesi che sembravano un sogno, ogni tanto si sostava sulla riva sabbiosa e ci concedevamo un bagno ristoratore. Sara, come sempre, si adattava con la naturalezza dei bambini che hanno imparato a viaggiare presto: osservava, faceva domande, e aspettava con pazienza il momento di tuffarsi in acqua.

Ma ben presto abbiamo capito che la barriera corallina non era una linea continua e protettiva. In alcuni tratti ci siamo ritrovati al largo, in acque profonde, dove le onde alte anche poche decine di centimetri sembravano pericolose, oltrepassando facilmente la bassa paratia della barca. Il momento più critico era sempre il rientro oltre la barriera, per entrare nelle lagune: lì il mare formava serie di onde turbolente e spumeggianti che sembravano insormontabili. Ma Adexi e Fidel erano straordinari, si sono rivelati dei perfetti conoscitori di quei mari e con piccoli colpi di timone e momenti di vigorose pagaiate, ci guidavano tra i canali naturali della barriera con una padronanza impressionante, ricordo ancora uno sguardo di terrore negli occhi di Giusy, e credo anche nei miei, e loro invece sempre sorridenti e rassicuranti. Quei momenti, ancora oggi, ci fanno venire un brivido, ma tutto ciò fa parte di ogni avventura.

La costa vezo è un luogo fuori dal tempo. I villaggi sono costituiti da capanne di legno e foglie di palma, le donne raccolgono alghe all’alba, gli uomini escono in mare su piroghe simili alla nostra. Non c’è elettricità, né acqua corrente. L’unico orologio è la marea. Eppure, in quel ritmo lento, abbiamo trovato un’armonia rara. Ogni sera attorno al fuoco, si cucinava il pesce appena pescato e si scambiavano sorrisi, gesti e racconti. Sara giocava con i bambini del posto senza bisogno di parole. L’incontro umano è stato, forse, il vero cuore del nostro viaggio.

I vezo vengono chiamati “i nomadi del mare”: sono un popolo che vive in simbiosi con l’acqua, con le stagioni della pesca, con le correnti. Nell’entrotrerra della costa, non esistono vere strade: l’unico collegamento tra i villaggi è il mare. È lì che abbiamo provato un senso profondo di isolamento, ma anche una connessione autentica con l’ambiente e con noi stessi.
Alla fine, la LEGEND’S D’AIR ci ha portati a destinazione. Stanchi, abbronzati, pieni di sale e gratitudine. Per Sara è stato un viaggio di scoperta e coraggio. Per noi, una conferma: che l’avventura, quella vera, non ha bisogno di comodità ma solo di apertura, fiducia e curiosità.
Perché a volte, per sentirsi davvero vivi, basta salire su una piroga e lasciarsi portare dal vento.
*Massimo Cappuccio è fotografo, autore e guida naturalistica, laureato in Scienze Naturali. Ha viaggiato in oltre 80 paesi esplorando montagne, deserti e terre lontane, spesso in solitaria, ma anche in compagnia della sua compagna Giusy e di loro figlia Sara, in un modo di viaggiare diverso, più lento e profondo.
Da sempre legato alla natura e alle attività outdoor, ha fatto dell’esplorazione il filo conduttore della sua vita. La fotografia è nata come esigenza di documentare spedizioni alpinistiche, raid in bicicletta e trekking d’alta quota, trasformandosi col tempo in uno strumento narrativo: un mezzo per osservare, raccontare e connettersi con l’anima dei luoghi e delle persone.
I suoi reportage si muovono tra viaggio e paesaggio, tra comunità isolate e geografie estreme. Raccontano non solo la bellezza dei luoghi remoti, ma anche la relazione profonda tra l’essere umano e l’ambiente, in contesti dove l’adattamento e il rispetto diventano essenziali.
Autore di guide di arrampicata e collaboratore di riviste e progetti editoriali internazionali, ha pubblicato oltre 70 articoli in 16 paesi. Vive in Sicilia, ma per lui nessun luogo è davvero lontano.
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